Per rammendo e per kintsugi parliamo di cose, di oggetti. Ma “c’è un rammendo che non riguarda le cose, bensì le persone: il loro modo di guardare la vita e la loro stessa vita. Prende avvio dall’attimo in cui persone, donne soprattutto, che si percepiscono marginali, periferiche, sconfitte dagli eventi, dagli altri e più spesso da se stesse, intuiscono che, nella stessa consapevolezza della loro sconfitta esistenziale, c’è un filo da/con cui ricostruire.”
Così recita la quarta di copertina, riprendendo l’introduzione, del nuovo libro di Maria Franco, Rammendi di vite qualsiasi, Guida Editori; il “filo da/con cui ricostruire” si dipana attraverso 35 brevi racconti e si manifesta come rammendo impercettibile con valore di kintsugi per il senso che quei segni hanno avuto nelle vite raccontate.
E insomma, Maria Franco, dopo Conchiglie. Tra la Calabria e Nisida: memorie di una ragazza anni Cinquanta ci regala ancora un libro coinvolgente, quasi interamente ambientato in Calabria ma dedicato alle donne e agli uomini dell’Ucraina, ancora sotto i bombardamenti russi; un libro ricco di storie che scaldano il cuore, che fanno sorridere di gusto, che ci riportano alla memoria di attimi, di situazioni similmente vissute, di singole parole che sbloccano ricordi di vita familiare; storie che ci presentano persone che non abbiamo mai conosciuto ma che potremmo riconoscere in qualcuno che abbiamo incrociato, o incrociamo, nei nostri giorni.
Storie che si fissano nella mente, che torni a rileggere per scrutare nell’animo del personaggio o per sorridere e sorridere ancora di situazioni magistralmente dipinte in una scrittura che è pulita e scorrevole, colta e popolare allo stesso tempo.
E’ tra queste storie che si incontrano donne come Zhena che col suo lavoro di cura, un lavoro da badante, “prova a strappare giorni o almeno ore alla morte”, o come Elide Leonzi, l’auto-proclamata poetessa diventata “nel suo quartiere, autorità culturale riconosciuta”; o come la marchesa Clelia Romano Pellicano, colpevolmente dimenticata da giornali e scuola tanto da avere la percezione di un “sopruso, un’offesa più grave di un semplice furto. Perché, se ti si toglie la madre putativa che raccontano le tue nonne, con la loro lingua, il loro amori, la loro miseria e le loro tragedie, ti manca una nota fondante, non possiedi una lettera dell’alfabeto e molte tue parole resteranno monche per sempre. Che non sarebbe così terribile se non fosse che le parole monche non sono che pensieri monchi”; o come Anna che nella sua vita moderna fatta di smart working e lockdown, è costretta a scoprire l’esistenza di un particolare vicino di casa; o come Anna e Bernardino che meriterebbero una pellicola da Oscar.
Ci sono mamme, nonne, sorelle, amiche, vicine di casa, anche gatte; donne e uomini curati nell’abbigliamento e nella persona. Ci sono temi importanti, antichi e attuali, come la maternità, la genitorialità, il lavoro, l’impegno politico; ci sono la storia, l’artigianato perduto, le tradizioni e le tradizionali festività mantenute, l’agricoltura e l’allevamento primarie fonti di sostentamento per le famiglie.
Ci sono sapori e odori che si percepiscono nettamente e fanno immergere dentro le storie senza andare in apnea, anzi aiutando l’immaginazione che nasce ad ogni lettura.
Leggendo, ho immaginato di vedere queste persone ripopolare paesi abbandonati, luoghi che bramano vite; quei luoghi della nostra Calabria dei borghi abbandonati, dei paesi da rianimare, da ricucire, da rammendare.
E allora la mente corre e immagina e pensa: quanto sarebbe bello percorrere un itinerario in uno dei nostri paesi, per incontrare nelle case non più vissute i personaggi di questo libro, in una lettura a più voci che faccia rivivere i luoghi?
Anche le nostre vite hanno bisogno di Rammendi di vite qualsiasi. Se ne avrà consapevolezza dopo averlo letto.
*già pubblicato sul Blog di Mara Rechichi.