Qualche anno fa in un’intervista Michail Gorbaciov disse di non sentirsi sconfitto dalla storia. Certo, lui personalmente era stato costretto a farsi da parte, ma la sua politica aveva alla fine prodotto una Russia più democratica e una Europa più pacifica. In un certo senso, sostenne, la perestrojka aveva avuto successo.
L’intervista poté sembrare un po’ esagerata e autocelebrativa, dettata dal fatto che quell’uomo ormai anziano cercasse “l’onore delle armi” dopo essere stato quasi dimenticato in patria e non solo.
L’invasione russa del 24 febbraio 2022 dell’Ucraina ha gettato nuova luce su quelle osservazioni e finito, chissà, per costringerci a fare i conti con l’operato di Gorbaciov attraverso nuove categorie analitiche. Proprio ora che la sua eredità pare dissiparsi definitivamente tanto in Russia quanto in Europa, per chi volesse capire il mondo contemporaneo la sua figura riveste un’importanza per certi aspetti inedita.
Gorbaciov come leader “interno” fu un vero e proprio disastro. Come capo politico il partito comunista da lui guidato dopo sette anni si era sostanzialmente autoliquidato; come capo di Stato non andò meglio: quando si dimise da Presidente dell’Urss il paese era scomparso. Impreparato in campo economico, le sue riforme furono una iattura, e sognatore in quello politico, proprio per via dei suoi fallimenti Gorbaciov nel 1991 non poteva vantare più alcun sostegno nel paese. Conservatori, nazionalisti, comunisti, democratici ecc. tutti avevano un buon motivo per andare contro Gorbaciov. Soprattutto quanti, grazie alla glasnost’, avevano riguadagnato libertà prima negate gli imputarono di non aver mantenuto le promesse fatte.
È nell’arena internazionale e soprattutto in Europa, invece, che l’ultimo leader sovietico ebbe successi e riconoscimenti. Era grazie a lui se si era chiusa definitivamente la Guerra fredda. Negli anni Settanta non erano mancati accordi tra Urss e Usa; tuttavia, l’idea alla base della distensione era quella del riconoscimento reciproco tra grandi potenze. Gorbaciov, invece, rivoluzionò il confronto con Washington. La fine della corsa al riarmo, la rinuncia all’equilibrio del terrore, la dismissione dell’arsenale nucleare: su questo si basò la strategia del leader sovietico. Fu una proposta travolgente, che con il contributo di Reagan ebbe successo.
Gorbaciov rese, inoltre, possibile la fine pacifica dei regimi comunisti in Europa orientale. Fino alla fine decise di non intervenire militarmente, il che non sarebbe stato difficile vista la presenza di migliaia di truppe sovietiche in tutto l’Est europeo. Sposò la linea della non-interferenza, lasciando i popoli di Polonia, Ungheria ecc. liberi di scegliere il proprio percorso in quel fatidico 1989.
Per ultimo, egli fu il principale fautore insieme al cancelliere Kohl della riunificazione della Germania. Si trattò di una svolta epocale che, come sappiamo, ha determinato il successivo quadro europeo. Per certi versi fu quello il più grande successo di Gorbaciov: favorire la nascita di una Germania unita e legata economicamente e politicamente alla Russia.
Gorbaciov era un sognatore, un idealista. Si convinse che in un mondo ormai interconnesso nessuno potesse garantire la propria sicurezza nell’isolamento: la collaborazione, la cooperazione, l’integrazione erano le risposte da dare alle sfide del tempo. Rifiutò il concetto secondo il quale la forza militare potesse essere strumento geopolitico per consolidare la sicurezza sovietica. Iniziò e portò a termine un faticoso ritiro dall’Afghanistan; decise un clamoroso abbandono pacifico delle posizioni sovietiche nell’Est Europa. Immaginava un rilancio delle Nazioni Unite, un rinnovamento del clima internazionale utile a superare definitivamente gli steccati geopolitici, mentali e culturali della Guerra fredda.
Pensava che l’Unione Sovietica facesse legittimamente parte dell’Europa, che bisognasse costruire un continente di pace e collaborazione anche tra paesi molto diversi tra loro, ma che coltivavano le stesse radici storiche. La Casa comune europea fu un progetto vago e ambizioso, come tutti i suoi progetti, che alla luce della guerra odierna ci appare ancora più velleitario e forse, chissà, ancora più necessario.
Gorbaciov fu senza dubbio un riformatore, ma più precisamente un comunista riformatore. Negli anni alla guida dell’Urss non rinnegò mai il marxismo e, anzi, continuò fino all’ultimo a coltivare una enorme ammirazione per Lenin. A suo avviso, se il leader bolscevico non fosse morto nel 1924 le cose sarebbero andate diversamente. Il suo compito, credeva, era quello di ridare al socialismo la dignità che lo stalinismo gli aveva tolto.
È difficile misurare l’eredità di un uomo politico fintanto che il tempo non ci consegna la giusta distanza storica. Alla luce dei suoi grandi progetti, molti dei quali rimasti solo sulla carta e altri clamorosamente naufragati, il giudizio non può che essere severo. Gorbaciov come capo politico e di Stato ha mancato buona parte degli obiettivi che si era prefissato.
Tuttavia, la guerra in corso in Europa e la distanza ormai segnata tra Russia e Occidente ci permettono di dire qualcosa di nuovo: la più grande eredità di Gorbaciov, durata almeno fino all’occupazione russa della Crimea nel 2014, è stata la creazione di un clima di fiducia e collaborazione tra Russia e Europa forse con pochi precedenti storici. Pare, purtroppo, che anche quest’ultima eredità dal febbraio del 2022 sia ormai definitivamente dissolta nelle nebbie delle ambizioni imperiali che nuovamente straziano l’Europa.
* storico, autore del libro Gorbačëv e la riunificazione della Germania (Viella, 2021)