RECENSIONI. Sarti volanti, Annarosa Macrì, Rubbettino

RECENSIONI. Sarti volanti, Annarosa Macrì, Rubbettino

Sarti Volanti di Annarosa Macrì, Rubbettino editore

Non è composto da capitoli Sarti Volanti di Annarosa Macrì, in libreria dal 17 febbraio edito da Rubbettino, ma da trenta variazioni (più un quasi prologo, un quasi monologo e un quasi epilogo), come se si trattasse di una partitura musicale – non per nulla il nome di Goldberg ricorre più volte nel testo – oppure di quelle microscopiche modifiche, di quegli invisibili aggiusti che consentono ad un modello di carta di diventare a poco a poco abito perfetto per quel corpo.

La protagonista di Sarti Volanti è una cinquantenne che si sente molto vecchia e stanca e che, su consiglio della sua psicoterapeuta dell’età senile, comincia a fissare ricordi su un quadernetto, accumulando eventi e tirando fuori emozioni, senza seguire un filo temporale preciso. Scrive a mano perché “una pagina scritta a mano da te è come il tuo specchio, se uno non si guarda allo specchio, come fa a conoscersi?”.

È nata a Reggio Calabria, da genitori calabresi – il padre sarto di fino della buona borghesia, la madre, “la parigina”, abile nel trovare, a Roma, le stoffe migliori e nel rielaborare i modelli degli stilisti alla moda. Il suo “insostituibile orizzonte” è la Sicilia al di là dello Stretto, ma si chiama Amélie per l’amore della madre per la capitale francese. Da universitaria ha fatto la “riparatrice di parole” mettendo in ordine gli appunti delle lezioni, da rilegare e vendere, e scrivendo tesi per altri studenti. Abita a Roma, dove ha un laboratorio, Il bottone e l’asola, di “sartoria volante”, ovvero di aggiusti rapidi, non è sposata né ha figli, ma vive da anni un grande amore, di sole parole dette e scritte, con Giovanni, uno scrittore considerato un grande del panorama letterario italiano, appena finito in ospedale a Cosenza per un ictus che l’ha colpito mentre teneva una conferenza all’Università di Arcavacata.

Intorno ai fatti della vita di Amélie – e a quelli, in alcuni aspetti sovrapponibili della madre, emozionalmente “bloccata” a vita nell’attesa del “professore” incontrato per qualche ora su un treno: una eredità particolare che lega le due donne, facendone quasi una sola persona – si snoda una narrazione che ripercorre varie dimensioni del dolore: da quello, potenzialmente mortale, che si respira in un reparto di terapia intensiva a quello della depressione dopo un aborto spontaneo a quello derivato dalle difficoltà di relazioni e sentimenti, quasi sempre sbilenchi e asimmetrici, dai limiti e dai fallimenti dei legami amorosi.

Amore e dolore sono il punto e il contrappunto di questo lunga affabulazione, un inoltrarsi nelle pieghe degli eventi che racchiudono altre pieghe, tante sfere concatenate come nella sommessa eruzione, dolorosa ma via via pacificante, del magma del non detto che ribolliva sotterraneo. Il racconto, complesso e stratificato, è punteggiato da decine di storie – Amadou, Renato, la signorina Adele, Vittorina, Aurora, monsieur Laccà per citare qualche nome – molto caratterizzate e universali: “Nessuno è proprietario assoluto della sua storia, maman, lo dice il professore Fici, il mio docente di Storia della letteratura moderna e contemporanea. (…) Anzi, lui dice che la storia di un a persona ha dentro caratteristiche e impalcature – dice proprio così, ‘impalcature’ – che sostengono la storia di migliaia e migliaia di persone che chi scrive non ha mai visto né conosciuto”.

Intriso di citazioni poetiche, di riferimenti letterari, musicali, filmici e artistici, di letture che sono diventate carne e sangue della protagonista – ci sarebbe pensiero possibile senza il filtro di chi ha già provato e descritto certi sentimenti, certe emozioni? – Sarti volanti è un “denudarsi” in cui il cucito diventa metafora continua della scrittura, del potere delle parole scritte di rappezzare, riaggiustare i fili, riparare gli strappi, vestire chi è nudo e dare nuova vita a esistenze che parevano ormai da buttare. E tutto il racconto diventa un inno alla cultura – a tutta l’arte che trasforma i fatti in simboli rendendo gestibili eros e thanatos – e, soprattutto, alla scrittura tout court, che può “fermare” la vita, ovvero darle forma, consistenza e durata: “Bisognerebbe scrivere un cartellone a lettere cubitali, ‘lavori in corso’ mentre uno scrittore scrive. E abbassare la voce, quando si passa sotto casa sua. E bussare timidamente alla sua porta e chiedergli: posso fare qualcosa per lei? le porto da mangiare, le pago le bollette, le metto in ordine la stanza, e poi sporgersi fuori dalla finestra: fate silenzio, non fate rumore, c’è uno scrittore che sta creando, abbiate rispetto, scrive una storia che prima non c’era e adesso c’è. Sono tutti buoni a vivere la loro vita, ma raccontarla, quanti lo sanno fare?”

*Annarosa Macrì Sarti volanti, Rubbettino, pp. 380, euro 20