LA RECENSIONE. Avrei voluto scriverti cantando, Olimpio Talarico, Aliberti

LA RECENSIONE. Avrei voluto scriverti cantando, Olimpio Talarico, Aliberti

«Il destino aveva calato le sue carte e non c’era niente da fare. Nulla sarebbe stato uguale a prima, nonostante il giallo della ginestra continuasse ad accecare su una riva del fiume e sull’altra un manto di erba medica oscillasse piano, accarezzato dalla brezza. Un dolore arcigno ci era stato consegnato dal fato, che si era rintanato dietro un albero, come un cacciatore di beccaccia, un ubriaco dopo una pisciata, un brigante braccato fra i pini della Sila. Non gli eravamo andati incontro. Era stato lui ad aspettarci.»

Siamo all’inizio degli anni Cinquanta quando la ventenne Carolina, chiede al padre, Leonardo, di raccontarle le tante verità nascoste sulla loro famiglia. «È arrivato il momento. Voglio capire, papà. Ti prego». Il padre tergiversa, ma, alla fine, accetta di mettere per iscritto per lei, a pezzi e frammenti, che cosa è successo a partire dagli anni Venti, quando l’opposizione tra fascisti e comunisti è arrivata, violentemente, anche nel loro piccolo borgo alle pendici della Sila.

Avrei voluto scriverti cantando di Olimpio Talarico, pubblicato da Aliberti, è il racconto, su due piani temporali, di ciò che è accaduto prima e subito dopo la nascita di Carolina e quello che sta accadendo decenni dopo quando il padre ha «la sensazione di continuare a vivere senza accorgermene: abbracciavo quanto era restato della mia famiglia, gli amici, il paese, il cinematografo, per poi pensare che nulla fosse cambiato. Tutto sembrava marchiato da mancanze, e, se mi fermavo per un secondo a pensare, mi sentivo scippato della mia stessa carne. Trasfigurato in un uomo diverso. (…) Solo i capelli e lo strato esterno della pelle apparivano agli altri uguali. E allora alla gente pareva che l’esistenza continuasse, al pari di prima, senza strappi, come se non fosse successo nulla. (…) Che il dolore invece è intimo, si nasconde agli sguardi estranei. È solo nostro, non potrebbe combaciare con quello di nessun altro.»

Si intrecciano, in questo nuovo testo di Talarico, storie d’amore e d’amicizia, avversioni politiche che si gonfiano di odi personali e di conflitti di classe, vicende di oscuri borgatari intersecate da eventi storici con la S maiuscola, dal delitto Matteotti alla proclamazione, dopo la guerra in Etiopia, dell’Impero e, mentre si sciolgono e non del tutto i misteri del passato (omicidi, arresti, presunti o reali suicidi) si complicano le contraddizioni del presente. A restituire pace è proprio la narrazione, lo sciogliersi in parole – che si vorrebbero “cantate”, quasi “sognate” – del groviglio emozionale che pesa sul cuore. Il racconto di Talarico è un intreccio di fatti, ma anche, e forse soprattutto, uno scavo nei sentimenti, nelle sfumature che colorano o annebbiano gli eventi, il superamento della rimozione, la trasformazione, lenta, del rancore in consapevolezza.

La trama si svolge intorno ad un protagonista, Leonardo Tenimento, e al conflitto tra la famiglia Tenimento, con il padre del personaggio narrante «sarto di professione, galantuomo di nascita, comunista fino alla morte» e la famiglia Casalinovo, capostipite il «re», re del male e del niente, legato al potere fascista in rapida affermazione, ma il libro si presenta come una storia corale in cui rientrano un po’ tutti gli abitanti del borgo, non a caso coinvolti in massa nella realizzazione di un film sul brigante Musolino. E ancora una volta, come nei precedenti libri di Talarico, il personaggio assoluto è il borgo di Caccuri, in provincia di Crotone, ripercorso in «ogni angolo, ogni vicolo, ogni gradino, ogni slargo, ogni fontana», col suo castello, «garante di un’atmosfera sospesa» e il «lento avanzare del torrente.»: «Il fascino del posto mi imbarazzava. Quasi un quadro, con i colori affettuosi dell’autunno. Lo sguardo navigò sulle colline, sulla vallata buia e su centinaia di casupole addossate l’una contro l’altra che degradavano senza fretta verso la campagna, come se volessero scappare da una terra avara e immergersi nell’azzurro del mare.»

Con Avrei voluto scriverti cantando, Talarico conferma di far parte di quell’ormai nutrito gruppo di autori calabresi che, per riprendere Alvaro, sanno che “i calabresi vogliono essere parlati” e hanno eletto un luogo della Calabria, magari oscuro e marginale, a centro e motore delle loro storie. Avendo assimilato che nel e dal marginale è possibile trarre storie universali.

*Olimpio Talarico Avrei voluto scriverti cantando, Aliberti, pp.327, euro 18.