L’articolo di Concita De Gregorio, ampiamente ripreso dai reggini sui social, è l’ulteriore
dimostrazione che la narrazione sulla Calabria e su Reggio in particolare è tale che, di fronte ad una cosa normale – ragazzi di liceo, ben educati, dai modi gentili, con dei talenti che una buona scuola riesce a far fruttare, che non hanno timore di prefiggersi obiettivi importanti – suscita stupore e meraviglia. Sottotesto: ma, questa, non è terra marginale, ormai fuori dalla storia, preda solo di malavitosi e, al massimo, luogo di partenza dell’emigrazione interna? Ci sono – iobò –anche famiglie che curano la crescita culturale ed emozionale dei figli, degli insegnanti che riescono a insegnare? C’è una bellezza che va magari disincrostata da troppa polvere ma resta lì, davanti agli occhi, se si vogliono aprire?
Naturalmente, c’è solo da essere grati che, il suo stupore, Concita De Gregorio lo condivida in un articolo su un importante giornale nazionale: il suo è uno sguardo che fa opinione. E non si può non sottoscrivere l’appello a che la politica (ma anche l’economia) faccia di tutto perché “I ragazzi di Reggio” (titolo dell’articolo) possano, volendo, vivere nella città in cui sono nati senza, per questo, dover rinunciare ai loro sogni, alle aspettative di raggiungere grandi traguardi.
Ma, leggendo Concita De Gregorio, non può non farsi sentire l’esigenza che l’intellighenzia
calabra, e in specie reggina (che – stupore – c’è), faccia di tutto per far cambiare il paradigma narrativo della e sulla Calabria: trovare una nuova grammatica e una nuova sintassi per raccontare i tanti diamanti (magari ben nascosti), su cui siamo seduti.