Lei (profilo su Wikipedia) era allieva e collaboratrice di L.M. Lombardi Satriani presso le cattedre di Etnologia e Storia delle Tradizioni Popolari all’Università di Messina e, nel contempo, aveva intrapreso esperienze di studio e di docenza nelle migliori università di Inghilterra, USA e Francia; Drettas lo aveva conosciuto a Parigi, probabilmente all’Ècole de Hautes éstudes en Sciences Sociales.
Per intendere il motivo del soggiorno calabro di Georges bisogna fare un lungo passo indietro: i suoi antenati appartenevano ad una consistente minoranza di origine albanese ed epirota insediata in Grecia nel corso dei secoli XII, XIII e XIV dell’era cristiana (in Peloponneso, Attica e Beozia).
Gli arvaniti, tale era il nome di queste popolazioni, si assimilarono ben presto ai greci sia per la religione cristiano-ortodossa che per la lingua, nonostante abbiano continuato ad usare l’albanese (arbëreshë ) in ambito familiare.
Debbono essere stati alcuni geni particolarmente versati nell’apprendimento linguistico ad aver giocato un ruolo nella formazione scolastica ed universitaria di Drettas. Egli infatti ha concentrato in sé la conoscenza profonda, oltre che delle maggiori lingue del Vecchio Continente, di diversi idiomi indeuropei appartenenti ai ceppi balcanici, caucasici e anatolici, salvo altri, nonché delle loro varianti regionali.
Quando poi qualcuno lodava la sua sapienza glottologica Drettas si scherniva subito precisando che chi conosce una lingua è in grado di conversare in essa al telefono mentre lui, in quei termini, ne conosceva si e no qualche decina.
Siamo ora in grado di svelare perché Georges era arrivato fin nella Calabria Ultra negli anni Ottanta del secolo scorso: a studiare la lingua, ormai defunta, dei greci di Calabria. Si muoveva per lo più a piedi, coi mezzi pubblici dove c’erano, con auto di amici (se ne era fatti diversi, specialmente tra i cittadini di Roghudi il cui abitato ne aveva seguito la diaspora in territorio di Melito) che lo accompagnavano o, anche, utilizzando una vecchia bicicletta che aveva trovato nella mia casa condofurese, dove alloggiò in solitudine almeno un paio di volte in soggiorni primaverili o autunnali. Era riuscito, appena dopo il primo soggiorno in Calabria, a distinguere le varianti lessicali e persino fonetiche tra le parlate dei borghi grecanici.
Amava soffermarsi, guardando le colline e le montagne circostanti, sulla similitudine geologica tra l’entroterra calabro e quello greco peloponnesiaco che erano stati sicuramente uniti prima della deriva dei continenti.
Ogni volta che rientrava a Parigi rastrellava le pubblicazioni sui greci di Calabria che più lo interessavano e, prima di ripartire, non mancava di incontrare Franco Mosino che della grecità calabra era l’alfiere più accreditato nel mondo degli studiosi.
È difficile parlare in breve della produzione scientifica di George Drettas: qui possiamo solo accennare alla tesi di dottorato «di III ciclo», 1978, presso l’università Paris V «René Descartes» (Le tissus rustiques dans le Balkans:typologie et lexique, subito diventato libro, La mère et l’outil. Contribution à l’étude sémantique du tissage rural dans la Bulgarie actuelle, Paris 1980, Société d’Études Linguistiques et Anthropologiques de France) e la tesi di «Doctorat d’Ètat», Aspects Pontiques, 1993, pubblicata nel 1997 (Paris, ARP, a cura di Varvara Sarafidou, moglie di Georges).
Tra gli innumerevoli contributi di Drettas, sparsi per lo più su riviste specialistiche e pubblicazioni miscellanee, occorre far menzione di quelle pionieristiche sul greco pontico, sulle varietà slave parlate in Grecia, sul judéo-grec (cito da un ricordo apparso su «Carnets du LACITO, Langues et Civilization à Tradition Orale», novembre 2023) nonché del suo silente, dotto e molto proficuo lavoro che, senza risparmiarsi, dispensava ai suoi allievi delle scuole di specializzazione in etnologia e linguistica della regione parigina.
Ad inizio anni Novanta del secolo scorso mia figlia soggiornò per alcune settimane presso la casa dei Drettas (7 Rue Monticelli, Porte d’Orleans) governata con premura da Varvara (moglie di Georges, greca e comunista; aveva subito gravi lutti durante la guerra civile 1944-1949 che fece mezzo milione di morti: i suoi, naturalmente, avevano combattuto con i partigiani dell’ELAS contro monarchici e fascisti sostenuti dall’esercito inglese) ove il figlio Dimitri, sinologo, oggi docente al Research Center for East Asian dell’Università di Erlangen-Nürnberg, aveva iniziato già a studiare con molto profitto le lingue orientali, specialmente il cinese.
Devo ricordare almeno due incontri con Georges:
a) Parigi, metà anni Novanta del ‘900 (io avevo accompagnato in gita gli alunni della maturità e riuscii a ritagliarmi un pomeriggio libero). Drettas mi accompagnò in un itinerario particolare: prima nella sede della Massoneria, Rue Cadet 16, dove prendemmo un caffe e ne visitammo il museo (e molto mi commossi davanti al grembiule iniziatico appartenuto al fratello Franҫois Marie Aruet dit Voltaire) e poi nel quartiere del Marais, con al centro la bellissima Place des Vosges;
b) Tivoli, ad inizio del secolo presente (1-2 dicembre 2001 Villa d’Este - ex Chiesa di san Michele Arcangelo), per il convegno internazionale su «Le parole della memoria» promosso dall’Assessorato alla cultura del Comune e diretto dal professor Tullio De Mauro; vi parteciparono scrittori, poeti e linguisti provenienti dalle minoranze di tutta Europa ed anche dell’ex Unione Sovietica. Presenti anche i greci di Calabria.
Drettas era nel suo mondo: fece una miniconferenza su «Voci del piccolo mondo: osservazioni sulla storia letteraria della Bovesia» (testo in «Annali del liceo classico di Tivoli» - 2003); ascoltò gli altri interventi con molta attenzione e molto si entusiasmò per l’intervento di una poetessa georgiana con la quale poi discusse a lungo: «Era da molto - disse – che non sentivo dal vivo il suono delle lingue caucasiche che sono tra le più belle d’Europa».
Drettas in quell’occasione dormì a casa mia che era da un anno, e sarei stato fino al 2008, l’assessore alla cultura della città; e molto discutemmo, specialmente dopo cena e su bande opposte, di Palestina e di Israele. Georges era stato diverse volte nello stato ebraico e raccontava di un attentato palestinese ad un autobus al quale aveva assistito di presenza.
La mattina dopo l’accompagnai a Fiumicino: il raccordo anulare di Roma fu più trafficato del solito e noi, ognuno con il proprio orgoglio malinteso dall’altro, non avevamo ancora smaltito la discussione della sera innanzi.
Vale, compagno Georges!