di EMMA CHIERA - La diversitá c’è. È concreta e s’impara giá da piccoli. Perché in Calabria non basta conoscere i luoghi famigliari: la casa, la strada, la piazza, il proprio paese, quelli vicini... Bisogna apprendere immediatamente che esistono anche dei posti lontani e misteriosi che si chiamano Merica o Merica Randi, mostri che all’improvviso possono fagocitare intere famiglie: zii, cugini, parenti, amici, vicini di
casa…
Significa essere costretti a sapere prima che esistono New York, l’Australia, l’Argentina, il Belgio, la Svizzera, e solo in seguito scoprire anche le „dentate scintillanti vette“ e Roma e Firenze e Venezia. Quando è ormai troppo tardi. Perché dopo il contatto con l’amara realtá – essere incapaci di nutrirsi, curarsi, vestirsi!- con questa infamante Diversità sperimentata in molte, troppe famiglie, non si puó essere piú i bambini innocenti e spensierati di prima.
Per tutta la vita ci accompagna questa certezza: c’è il mondo, c’è l’Italia, e ci siamo noi. Noi che siamo altro: poveri, lontani, diversi. E colpevoli. Di povertá, di lontananza, di diversitá.
Noi cosí poveramente e fedelmente abbarbicati ai nostri colli, alla nostra capacitá di creare terrazze anche di un solo metro di larghezza e di coltivarle amorevolmente a vigna, a ortaggi.
Noi cosí lontani dall’ipocrisia, dalla superficialitá, dalle miserie umane che piagano l’anima della gente lontana dalla Natura.
Noi cosí diversi perché fatichiamo a lasciare il piano della nostra realtá per trasferirci ad un livello considerato migliore, superiore.
Noi che ci ripetiamo la storiella del pescatore disteso pacificamente al sole ed interpellato dal turista americano che lo invita ad alzarsi ed andare a pescare, fare soldi, investirli in nuove barche e poi finalmente stendersi al sole! Noi che facciamo nostra, ripetendola con enfasi, la saggia risposta del pescatore: “Era esattamente quello che stavo facendo, prima del Suo arrivo!”
Noi cosí colpevoli perché siamo gente del mare, e della terra soprattutto, quindi abituati ai rapporti immediati: con la Natura, con la gente e con noi stessi. Chi ci ammira per la semplicitá, la nobiltá d’animo, la grande e cordiale ospitalitá, dopo ci vorrebbe incartapecoriti in rituali cosiddetti civili, da cittadini, da maschere.
Mentre noi vogliamo essere semplicemente noi stessi. Ci basta cosí poco: noi, quelli come noi ed il mare, le colline aspre, vive, bellissime, le mille fiumare, i boschi, i frutti della terra, del mare, del lavoro umano.
Siamo marinai, boscaioli, ma soprattutto pastori e contadini, con una dedizione unica ai nostri animali e alla nostra terra che per noi non sono solo semplici mezzi di sostentamento. Perché abbiamo un rapporto primordiale, sincero, sacro con la Natura: noi stessi siamo il letto della fiumara, l’argilla, i sassi, gli agnelli, le radici, gli alberi, i frutti!
Civilizzarci significa staccarci da tutto ció, spostare arbitrariamente le nostre prioritá per trasferirle alle merci, al commercio, al denaro ed al suo flusso, alle sue ferree, disumane regole.A noi questo mondo non piace. Perció quando tentiamo di integrarci lo facciamo in modo cosí maldestro! Come ogni comunitá corrotta dal denaro, dalle regole imposte da altri, fatichiamo a capire il gioco, a recuperare in fretta apprendimenti propedeutici, ad inserirci in un mondo di falsi miti, di ipocrisia elevata a religione; ci ripugna fare nostra la maledizione di Th. Hobbes ”Homo homini lupus”.
Certo, non siamo angeli. Ma le nostre cattiverie sono terra-terra, cose da contadini dalle grosse scarpe, da comari avviluppate nel rapporto di amore-odio che prospera nei vicoli; peró non vi raggiungiamo mai quelle vette di raffinatezza che nel mondo cosiddetto civile sono la norma, e senza le quali si è destinati a soccombere.Ci viene continuamente rimproverato il “familismo amorale”, dimenticando che la famiglia è stata l’unica istituzione che ci ha sorretti nei secoli, facendosi per noi di volta in volta supporto, antidoto, speranza…
Noi non siamo amorali.
Amorale è aver coltivato la nostra miseria per farci schiavi dal latifondo in poi.
Amorale è aver imposto - in una comunitá coesa, semplice ed integra - leggi, metodi ed obiettivi ad essa totalmente estranei.
Amorale è pretendere la spontaneitá dalle persone che ancora vivono in armonia con la Natura e, contemporaneamente, esigere anche l’efficienza, il distacco, la furbizia elevata ad arte nel mondo cosiddetto moderno.
Amorale è pretendere di decidere come devono essere gli altri, in nome del proprio cieco egoismo che sta devastando il Pianeta.
Non è cambiato molto da quando si uccideva un bisonte per la sola lingua. Anche oggi, infatti, chi detiene il potere si muove nel mondo come un rapace - persino quando lo scopo è svagarsi - e vorrebbe possedere tutto, magari per un solo, illusorio istante!
Certo, i cambiamenti - anche quelli culturali - non avvengono mai in modo armonico: c’è sempre un urto, uno scontro di vecchio e nuovo, di valido ed obsoleto, un infrangersi di obiettivi, di progetti davanti ad un’alba di sogni…
E noi fatichiamo ad abbracciare un futuro giunto da noi in ritardo e malconcio, che giá denotava il suo fallimento, dietro la fantasmagorica maschera del progresso.
Noi non vorremmo tornare al passato, ma adeguarci alla Calabria come abbiamo fatto nei secoli, cioé rallentare il ritmo, accondiscendere alla sua natura che impone un passo ridotto.
Risalire le sue catene montuose, i corsi delle fiumare, le viuzze dei centri arroccati sulle colline sono cose che non si coniugano con la fretta, la velocitá, la spavalda sicurezza con cui si affronta una strada di cittá.
E ritrovando un ritmo piú umano, si puó forse ripensare il proprio modo di respirare, di pensare, di organizzarsi la vita.
Ma occorre poter vivere in Calabria coscienti e convinti di ció. Occorre venirci giá con quest’idea, non sulla scia del solito turismo “mordi e fuggi”. Urge un cambio di prospettiva nei confronti della nostra terra; dobbiamo proporla noi calabresi come una dea, una guaritrice miracolosa del fisico e dello spirito, e non permettere che venga svilita ed offerta per pochi spiccioli ad un turista famelico e distratto! Nessuno mai ci restituirá l’antica forza, la nostra dignitá mille volte calpestata. Dovrá essere una nostra conquista! Ma, prima di tutto, un’intima convinzione.
Non siamo superiori a nessuno.
Non siamo inferiori a nessuno.
Siamo coscienti dei nostri problemi perché ci lavoriamo su alacremente, siamo altrettanto coscienti dei nostri pregi perché non permettiamo che ci vengano ancora negati, per farci avvicinare sempre piú all’abisso. Un abisso utile a tanti, cosí pieno com’è di comodi stereotipi, giudizi superficiali, ignoranza, assenza di rispetto per Madre Natura e le sue creature, al solo scopo di sfruttarci ancora…
E per rendere ancora piú cocente la delusione di noi che ci siamo fidati - ci fidiamo sempre! - far finta di interessarsi davvero ai nostri problemi, ma giá progettare altri siti per i propri investimenti, altri luoghi di vacanza, di distrazione, in questa eterna caccia al denaro, in questa forsennata fuga da se stessi, in quest’illusione che ci viene venduta sotto il nome di LIBERTÀ.
La diversitá in Calabria c’è ancora. E dopo il doloroso percorso impostoci da altri, essa potrebbe trasformarsi in una carta vincente: la NOSTRA interpretazione della realtá, il NOSTRO progetto del futuro, la NOSTRA (ultima?) chanche per dimostrare che DIVERSITÁ puó essere un sicuro sinonimo di QUALITÁ.