di DOMENICO LUPPINO* - Non passava notte senza che accadesse qualcosa. Ora si faceva brillare un ordigno davanti alla casa di tizio e la volta successiva si sparavano i lampioni della Pubblica Illuminazione, altre volte ancora si incendiava qualcosa. Ad ogni accadimento, il Sindaco del borgo, cocciuto come un mulo ottuso, alzava lamenti ai quattro venti. Più quello si lamentava, più le forze dell’ordine cercavano di presidiare il territorio. Più queste si facevano vedere in giro, più aumentavano le possibilità che qualcuno prendesse una multa o avesse un qualche fastidio. Si arrivò al punto di esasperazione tale, che qualcuno mise in giro un surreale ragionamento, che però non faceva una grinza: “Se Carabinieri e Polizia sono sempre tra i piedi è per le sparate pubbliche del Sindaco”.
Qualcun altro, di mente più fine, aggiunse e convinse la restante parte della gente: “Se qualcuno si becca una bomba al portone o una pallottola alla finestra, vuol dire che se la è meritata. Lamentarsi, dopo e magari anche prima, non solo non lo aiuta, ma complica la sua posizione. Poco male, se non fosse che questo modo di fare comporta dei disagi per tutti noi altri persone perbene”.
Passò l’idea che fosse giusto andare dal Sindaco, ogni volta che si veniva a contatto con le forze dell’ordine che giravano per le strade del paese, per chiedergli soddisfazione e ottenere una sorta di richiesta di risarcimento, morale e materiale, per essere stati “importunati” da polizia e carabinieri con la scusa di essere controllati.
Di siparietti comici, se non fossero stati tragici, nella stanza del primo cittadino se ne consumarono parecchi. Uno di questi, vale la pena raccontarlo. Si presentò un tale dal sindaco. Dopo i convenevoli di rito, intrisi di manierosi atteggiamenti reverenziali verso la figura istituzionale, che di solito non lasciavano presagire nulla di buono, il nostro venne al dunque. Trattavasi di un grave caso di disturbo del sonno. Il poveretto, infatti, si lamentava del fatto che nel corso e nel cuore della notte, oramai da parecchio tempo, veniva svegliato dagli schiamazzi fatti da Carabinieri e Poliziotti. I quali, proprio mentre passavano davanti alla sua abitazione azionavano la sirena delle loro volanti, frenavano di botto facendo fischiare le gomme delle auto, ecc. ecc.
A questo punto, varrebbe la pena raccontare vita e opere del “disturbato”. Ma lo evitiamo per molti motivi, alcuni dei quali, mi auguro, comprensibili. Basti sapere, comunque, che il nostro difficilmente rimarrà nei ricordi piacevoli di qualcuno, stretti familiari compresi.
Tornando al nostro racconto. Il sindaco, era divenuto avvezzo al surreale, tanto da farsi un quadretto in ufficio, più per se stesso che per altri, che recitava così: “…..comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale…. (manifesto surrealista 1924)”. Pertanto, per conformarsi al clima che si era creato in quella stanza, si tolse il “cappello per pensare”“ e tosto si infilò quello del “creare (inteso come essere creativi)”.
Non si è mai saputo perché, ma pare che quando facesse questa operazione gli tornava in mente Enzo Jannacci. Quindi, reggendosi il mento con la mano, si fece di espressione contrita e compenetrata nel grave problema che gli era stato prospettato dal “disturbaro”. Facendo durare quel modo di essere più di un attimo. Aveva imparato, infatti, quanto potesse risultare disarmante, per uno che recita la parte del pazzo, di non essere considerato tale. Godeva a vedere l’espressione che si era stampata nel volto del tizio. Il quale, proprio non riusciva a mascherare lo stupore di scoprire che il sindaco era più idiota di quanto pensasse o si dicesse in giro: “Veramente lo credeva pazzo”. Ed allo stesso tempo, non riusciva a nascondere la soddisfazione di sapere che quella manifesta idiozia era generata anche dalla paura che il sindaco nutriva nel trovarselo dinnanzi.
Furono pochi attimi, ma dalle soddisfazioni enormi per entrambi. Tutto svanì nel momento in cui il sindaco, di scatto, smise di pensare e sollevò la cornetta del telefono. Per un attimo si guardarono, mentre il sindaco smanettava nervosamente sulla tastiera del telefono, scambiandosi uno sguardo complice. Poi, come chi ci ripensa, ripose il telefono e prese dal cassetto della scrivania un foglio di carta intestata per dare più solennità al momento ed iniziò a scrivere: “Noi sottoscritti, il sindaco pro tempore.. ed il cittadino…” li si fermò, alzò gli occhi dal foglio e facendo finta di non ricordare, chiese: “Mi date le vostre generalità complete?” L’altro, che intanto era diventato in viso di un colore leggermente giallastro, rispose: “Scusate, sindaco, ma che state facendo”. Sparò a far scena: “Sto predisponendo un rapporto dettagliato di quanto mi avete esposto che provvederò ad inviare, ora stesso, al Prefetto . In maniera tale che Sua Eccellenza prenda i provvedimenti del caso, poi provvederò a contattarlo telefonicamente”.
Come andò a finire lo lascio alla immaginazione di chi ha avuto la pazienza e la bontà di leggere. Sarebbe stato interessante conoscere, tuttavia, come avrebbe reagito il Prefetto se quella comunicazione gli fosse pervenuta davvero.
*già sindaco di Sinopoli