Sacco e Vanzetti, il pregiudizio che uccide. CALABRÒ

Sacco e Vanzetti, il pregiudizio che uccide. CALABRÒ

 sev     ANTONIO CALABRÒ - Sono passati esattamente 87 anni da quel lontano 23 Agosto del 1927, il giorno in cui vennero giustiziati negli Stati Uniti i due italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ingiustamente accusati.

La storia è più che nota; più che le prove o gli indizi, inesistenti o falsi perché l’intero processo era una farsa e i due non commisero mai i crimini di cui erano accusati, fu il pregiudizio culturale a spingerli sulla sedia elettrica.

Il pregiudizio era dovuto alle loro idee, ma, anche e molto di più, alla loro nazionalità. I due infatti erano italiani, Sacco della provincia di Foggia, e Vanzetti di quella di Cuneo. Due emigranti come ce ne erano migliaia in giro, con in più la consapevolezza della loro condizione proletaria e l’utopia accesa dell’Anarchia come unica forma di organizzazione umana giusta. Ma questo non sarebbe bastato a farli condannare.

In realtà i due pagarono il pregiudizio contro quei disperati, morti di fame, sporchi, cattivi, che cercavano riscatto e conforto nella civilissima patria della Libertà. Giungevano a frotte su navi a vapore, sbucavano dalle stive con le loro facce smunte e nere, e gli occhi perennemente affamati. E tra loro, chissà quanti vivevano in clandestinità, commettendo chissà quali furfanterie.

Il pregiudizio verso i “Wops” (Acronimo di whitout papers, i “senza documenti”) era fortissimo. Gli Stati Uniti attraversavano un momento di folle paura del comunismo, e “la politica del terrore” del ministro della giustizia Palmer era in atto.

Gli italiani erano accolti con sospetto e guardati a vista. Vivevano in grandi stanzoni fetidi, interi nuclei familiari in condizioni igienico sanitarie terribili per i nostri parametri. Erano turbolenti e sensuali, non prendevano gli usi locali e mantenevano tra le mura amiche gli stessi modi della terra natia. Inoltre in molte delle bande criminali c’era la presenza italiana.

Secondo un certo modo di fare e di vedere le cose, il cerchio era chiuso. I due italiani, con un simile “profilo”, dovevano essere per forza gli autori dei delitti.

Invece i due erano completamente innocenti. Si può disquisire quanto si vuole sulla supremazia dello stato rispetto ai singoli individui; si possono perdere giorni a cercare di capire se una vita umana valga il sacrificio per mantenere intatta l’impalcatura sulla quale abbiamo costruito la nostra civiltà; ma ciò di cui non si può dubitare, è che Sacco e Vanzetti furono vittime di un certo modo di vedere le cose.

Ed è lo stesso modo di chi ancora oggi, sono passati 87 anni e non sembra, giudica e sentenzia il fenomeno dell’emigrazione. Lo stesso giudizio secco, rancoroso e presuntuoso.

Vittime del pregiudizio ieri come oggi. Nessun uomo dovrebbe essere giudicato per ciò che è. Semmai, per ciò che fa. Sacco e Vanzetti non avevano fatto niente, ed erano innocenti, come la gran parte degli stranieri che giungono da noi.

Per questo i due sono morti, e ci sono canzoni che ricordano i loro nomi.

“Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un radicale, e davvero io sono un radicale; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano.”

(dal discorso di Vanzetti del 19 Aprile 1927 – fonte Wikipedia)