ANIME NERE. Il regista Munzi: un grande film drammatico ma anche un contributo al riscatto di Africo. D’AGOSTINO

ANIME NERE. Il regista Munzi: un grande film drammatico ma anche un contributo al riscatto di Africo. D’AGOSTINO

fmgf         di MARIA TERESA D’AGOSTINO* - “È stato un percorso tortuoso, diviso tra un grande sostegno da una parte e molte difficoltà dall’altra. Il sostegno veniva da Gioacchino Criaco (autore del libro omonimo, edito da Rubbettino, ndr) e da tanti che, sin dall’inizio, soprattutto in Calabria, si sono appassionati al progetto. Le difficoltà derivavano dall’intento stesso di realizzare un film drammatico, in Italia, in questo momento storico. Film di minore complessità e di maggiore presa “commerciale” trovano con più facilità aiuti finanziari adeguati. Devo dire che siamo stati resistenti. Non abbiamo mai mollato. Alla fine tanti piccoli finanziamenti messi insieme hanno ricostruito il mosaico che ci ha permesso, dopo un perenne stato di attesa, di cominciare a volare. Ma tutto questo non sarebbe mai avvenuto senza la fatica e il sacrificio di tutti noi. “Anime nere” è stato prodotto con la metà dei finanziamenti previsti, ciò significa che a questa mancanza abbiamo sopperito raddoppiando sudore e rinunce».

Francesco Munzi, stretto tra un’intervista e l’altra, è felice di un successo che non si aspettava.

Il suo cinema d’autore ha sbancato Venezia. Quando avete cominciato a “crederci” davvero?

«Come dicevo, abbiamo sempre creduto nel progetto. Man mano che andavamo avanti con le riprese ci sentivamo sempre più soddisfatti di quello che stavamo realizzando. Sapevamo di mandare ai produttori, a Roma, del buon materiale e questo incoraggiava noi e loro. Abbiamo visto via via prendere corpo un buon film e questa è stata la molla importantissima che ci ha permesso di portare a termine il lavoro, stremati ma soddisfatti».

Credevate anche nello straordinario successo a Venezia ?

«Al contrario, non volevo neppure pensarci. Quelli precedenti alla proiezione sono stati più che altro giorni di ansia. I film sono un materiale strano, la consacrazione viene esclusivamente dalla visione. Anche se sai di aver lavorato bene, quel che conta è l’accoglienza da parte di chi guarda il film. A quel punto è come se non fosse più tuo, ma appartiene ai sentimenti e alle emozioni del pubblico. Ed è lì che ti giochi tutto. A volte va bene, a volte va male. Ma davvero prima non puoi saperlo. Il successo non osi neppure sperarlo».

Ma è andata benissimo: inevitabile la commozione.

«Abbiamo pianto proprio tutti. È stato un pianto collettivo liberatorio. Quasi esagerato. Ma è arrivato così, spontaneo, di fronte a quegli applausi che non finivano più. Sentivamo un calore reale, intenso, fisico. Ora aspettiamo che vada nelle sale».

Cos’ha in comune “Anime nere” con gli altri due suoi film, i pluripremiati “Saimir” e “Il resto della notte”?

«È un film del tutto diverso su una materia per me nuova. Se vogliamo individuare un filo rosso che li attraversa credo sia la costante del racconto di un’umanità che, per un verso o per l’altro, è “ai margini” e, soprattutto, l’indagine su come situazioni estreme incidano in maniera dirompente su dinamiche familiari».

Africo e l’Aspromonte sono veri protagonisti del film. Un mondo che lei ha voluto conoscere da vicino prima di dare il via al progetto. Un universo paradigma dell’Italia contemporanea, come si dice da più parti, oppure una dimensione di vita avulsa e “unica” nel bene e nel male?

«Africo a suo modo rappresenta un unicum, a partire da questa frattura tra il paese in montagna e quello sulla costa, dallo sradicamento vissuto a seguito dell’alluvione, fino alla posizione ancora un po’ sospesa tra due mondi che ho riscontrato nelle nuove generazioni. Al tempo stesso Africo e questo film sono l’emblema del fatto che niente è impossibile. Tutto si può fare. Niente è perduto, neppure quando l’apparenza sembra dimostrare il contrario. Africo, a mio parere, soffre ancora di un passato che è ben più forte del suo presente. Deve cominciare a liberarsene. Questo territorio deve continuare a raccontarsi senza vergogna proprio nei suoi aspetti meno belli e, quindi, ripartire. Penso che, in qualche modo, il mio film vada in questa direzione e offra un contributo alla rinascita».

E ora ci crede a un premio a Venezia?

«Non ci penso minimamente. Ci sono in gara film di alto livello,tutti molto belli, giochiamo in un girone di serie A, se vogliamo usare un gergo sportivo. È già bellissimo starci dentro. Va bene così».

*giornalista del Garantista della Calabria.