di FILIPPO VELTRI* - L’intellettualità calabrese: intimamente dibattuta tra la spinta a smontare con orgoglio i pregiudizi “razziali” di chi legge la deriva calabrese con strumenti alla Lombroso, e un furore indignato contro le classi dirigenti locali, spesso accomodanti rispetto al malaffare, voto di scambio e zone grigie. Troppo “alti” per il popolo calabrese e troppo “localistici” per i colleghi nazionali, gli intellettuali calabresi sono costretti a vivere il proprio impegno in una ‘’mortificante e deprecabile solitudine”.
Ci voleva un intellettuale non calabrese come Andrea Di Consoli, a sollevare nei termini giusti il problema forse più drammatico che oggi vive la Calabria. Di Consoli, scrittore e saggista (e tante altre cose) lo ha fatto sul prestigioso inserto domenicale del Sole 24 ore alcuni mesi fa, scrivendo a proposito del mio libro ‘’La Calabria dolente’’ (Città del Sole), uscito un anno fa.
E’ questo il problema dei problemi, che spesso ci siamo trovati ad affrontare in questi anni e in questi ultimissimi giorni, con un’intellettualità che in alcune sue componenti ha tentato e tenta di alzare occhi e antenne e riflettere senza paraocchi, ma anche rifuggendo dai luoghi comuni e dalle ovvietà sullo stato dell’arte in Calabria, mettendo assieme denuncia e proposta, ma che e’ rimasta alla fine isolata e senza molto seguito.
La deriva calabrese, come scrive Di Consoli, in fin dei conti é proprio questo: uno sforzo di pochi di andare oltre il coro e un silenzio assordante di tanti altri. Fuochi che ardono alti quando vengono accesi, ma poi si spengono altrettanto bruscamente; l’assenza di una rete che tenga assieme le forze migliori; la facile fuga nella denuncia a buon mercato; una incapacità a leggere nel profondo quel che si muove dentro una società malata ma complessa.
Se ne può finalmente discutere? Si può avviare un dibattito, una riflessione su questi tempi tracciati da Di Consoli con incredibile sobrietà e nettezza? Ne possono discutere gli intellettuali, i cattedratici, i professori, chi professore non e’? Le Università? Gli imprenditori? Si può ragionare su come magari accorciare le distanza tra quei troppo ‘’alti’’ e troppo ‘’localistici’’?
‘’Per anni – ha scritto Gioacchino Criaco, l’autore del tanto giustamente celebrato Anime Nere – la Calabria ha praticato il luogocomunismo nei confronti di posti come Africo, Platì o San Luca. Africoto o Sanlucoto era, dai calabresi, associato a qualcosa di negativo. Ora c’è un’africotizzazione della Calabria intera, per mali reali e anche per alibi strumentali. E la Calabria è diventata l’utile idiota di una nazione in declino, corrosa dai problemi. E l’Italia fuori dai suoi confini è diventata la Calabria d’Europa. E non è per razzismo che ‘calabrese’ sia diventato un termine negativo. C’è solo tanta superficialità intorno alla Calabria, pregiudizi e banalità figli di un autorazzismo tutto calabrese, prodotto dall’essere orfani di un passato che è stato grande ma che è passato da qualche millennio’’.
Troppi hanno campato e continuano a campare su quel ‘’luogocomunismo’’ di cui parla Criaco. Giornalisti, scrittori, intellettuali – tutti presunti tali, per carità – e poi politici, magistrati, sindacalisti, imprenditori, etc etc. Tanti, troppi hanno fatto e continuano a fare una immeritata carriera su quella africotizzazione, narrando una Calabria che ovviamente c’e’, c’era e in ogni caso costruendo – insieme a tanti, troppi che da fuori ci hanno ovviamente sguazzato – su di noi un bel vestito che ora facciamo una tremenda fatica a scucirci, sempre per chi è intenzionato a farlo.
E siamo ancora in pochi a volerlo scucire questo vestito, perché’ in troppi e in tanti ci campano (e pure bene) su quella immagine della Calabria. Ma ormai il velo è squarciato e sarà difficile continuare a narrare in maniera superficiale la Calabria.
Quel di cui abbiamo bisogno non è dunque, il silenzio. Anzi. Abbiamo bisogno di più denunce vere e di parole vere, di un giornalismo serio e puntuale, di un racconto onesto in tutte le sue sfaccettature. Quello che non ci serve e di cui, anzi, non ne possiamo più sono le ovvietà e i luoghi comuni. Aiutano i mafiosi, la ‘ndrangheta, il malaffare e la malapolitica a nascondersi. A confondere le acque, a mischiare le carte. Ciò di cui c’è bisogno è finalmente una narrazione normale della Calabria.
*Editorialista Quotidiano del Sud