di MASSIMO ACQUARO - Caro Direttore dissenta pure se vuole, ma il Suo è un giornale scevro da casacche e tifoserie per cui ci consenta, almeno lei, una provocazione senza passate per eretici o iconoclasti.
"Il re di Roma" e "il boss dei boss": Carminati e Diotallevi non mancavano di una buona dose di autostima se ritenevano di meritare un tale lignaggio criminale. Più si leggono le intercettazioni di questo pasticciaccio brutto in salsa romana, più risuonano le arie della Grande bellezza di Sorrentino, un insieme di degrado, corruzione, chiacchiere, vanterie che solo un pianeta opaco come Roma è capace di esprimere.
Mancano all'appello solo qualche prelato, un paio di personaggi dello spettacolo, qualche picchiatore delle curve romaniste e laziali e, poi, il frullato è bello e servito. Insomma siamo anni luce dalla Sicilia di Sciascia o dalla Calabria di Gangemi. Un profluvio di parole, arroganza, minacce, mazzette e inciuci che possiamo anche chiamare mafia, a patto di non crederci troppo, mi pare chiaro.
È difficile dire quanti romani si siano accorti di questa gang un po' naïf un po' capitano Uncino che avrebbe scorrazzato per l'Urbe. Pochi, forse pochissimi: il che fa della combriccola qualcosa di molto diverso dalle cosche della mafia o della ndrangheta il cui peso opprime la vita di centinaia di migliaia di persone.
Naturalmente ci muove un pregiudizio in questa valutazione. Non ci piace l'idea che si voglia a tutti i costi far passare per novità sorprendenti quello che tutti sanno nella Roma ladrona del terzo millennio in cui scorrazzano dozzine di cordate criminali che, come Carminati & co., depredano le risorse pubbliche della capitale. Suvvia rom e immigrati in un comune che ha un bilancio annuo di circa 8 miliardi sono poche briciole, e neanche troppo dignitose per dei veri uomini d'onore che, ad esempio in Sicilia ed in Calabria, si sono sempre tenuti lontano da speculazioni sulla pelle di questi diseredati. Ci voleva tutto il cinismo di un certo modo di essere cittadini dell'Urbe per mettere insieme un aziendalismo mafioso fondato sulle cooperative sociali. Per carità cose gravi, gravissime, da sanzionare senza sconti e senza cedimenti, ma la mafia è un'altra cosa. Forse.