LIBRI e POLEMICHE. Cola Ierofani come Pinocchio. TRIPODI

LIBRI e POLEMICHE. Cola Ierofani come Pinocchio. TRIPODI

brigitte-bardot           di GIUSEPPE TRIPODI - Diceva Maria Zambrano che si scrive per combattere la solitudine; se così é il rapporto tra lo scrittore e la sua opera assomiglia molto a quello tra Mastro Geppetto a Pinocchio; da una parte il ciocco intagliato per creare un’alternativa affettiva alla solitudine del falegname che si trasforma subito in un discolaccio fonte portatore di grandi ansie e peripezie e, dall’altra, chi si affatica nella scrittura che chissà quante ambasce (pubblicazione, diffusione, critiche) finirà per procurargli.

Noi dunque, come Geppetto si adopera per difendere la sua creatura dalle insidie del mondo, non possiamo esimerci dal difendere dalle critiche il Cola Ierofani che, senza esserne stato richiesti, abbiamo evocato dal nulla esponendolo, senza che lui possa difendersi, alle censure anche severe di lettori e critici.

negativo, su un libro che non è stato scritto per lettori pigri.

L’analisi delle parti in cui il giudizio è trattenuto o, a tratti, tranciante va quindi affrontata senza l’intento di fare cambiare idea al recensore ma solo per allegare deduzioni difensive.

Due sono le censure rivolte al protagonista del libro: a) l’insensibilità animalista e b) il sesso debordante (ma, per inciso, alcune delle parti su cui il critico esprime il suo gradimento hanno a che fare con il “peccato”) .

  1. Serra trova contraddittorio che, dopo aver fatto inorridire il Cola bambino di fronte alla mutilazione ed infilzatura dell’averla (ma prima c’era stata quella del grillo!), gli si fa perdere, con l’età e del tutto, lo smarrimento allora provato anche a fronte di crudeli esecuzioni come quelle della capra; infine si tratta con ironia totalmente priva di gusto la reazione delle donne milanesi di fronte al caprifico.

L’osservazione è disarmante.

Non tutti possono essere militanti della LAV ma non per questo chi non lo è deve essere considerato un aguzzino.

E poi siamo sicuri che rappresentare crudamente la crudeltà sia diseducativo o da censurare?

E l’orrore indotto, al di la dell’intenzione dell’autore che il problema non se l’era posto per nulla, non potrebbe essere catartico per il lettore e produrre nel suo animo proprio lo sviluppo di quella sensibilità animalista che non trova spazio nel libro?

         2) Le parti erotiche o erotizzanti del libro (indubbiamente molteplici) rappresentano sì, in modo paradossale ed esasperato, un approccio maschilista al rapporto tra i sessi.

E Marco Serra afferra la questione per le corna e la sventola impietosamente davanti all’autore.

L’analisi è giusta. Il punto di osservazione del rapporto maschio-femmina è quello del primo termine della polarità. Certo si sarebbe potuta affrontare la questione anche dall’altro corno del dilemma, ciò sarebbe stato più completo e più articolato. Ma l’indispensabile (il punto di vista del protagonista) c’é.

Ma Marco va oltre la denuncia della parzialità del punto di osservazione; quando vuole sapere “quando e come l’autore si rapporti alla visone maschilista del protagonista” in realtà sta già brandendo la spada di Damocle contro l’autore in odore di pornografia.

E, sottintende neppure tanto velatamente Serra, se chi scrive non condivide le porcherie del protagonista perché non ne prende le distanze?  

Qua veramente non ci siamo; chi scrive deve rispondere alle domande su quanto condivida il girovagare erotico e maschilista di Cola, trasformato in etica, cioè teoria dei valori morali da non condividere, anzi da disapprovare? Lo scrivano come giudice e confessore intransigente dei personaggi?

Sicché tutti i grandi scrittori (per carità, nessuna chance di paragone, infiniti et finiti nulla proportio) che hanno scelto personaggi negativi (da Raskolnikov all’eroe del nostro tempo di Pratolini o a Humbert-Humbert di Nabokov solo per esemplificare) avrebbero dovuto prima prendere le distanze dalle loro follie e solo poi dispiegarle sulla pagina o, dopo averle dispiegate, farne una completa e defatigante critica.

Insomma il discorso sarebbe lungo. Io posso solo dire che anche nelle “criticità” rilevate mi sono sforzato di riportare ed assemblare (grazie anche ad un protagonista così “deviato”) racconti che circolavano nell’immaginario “maschile” delle classi popolari (contadini, pastori e braccianti) dalle quali provengo; immaginario che, fino alla scomparsa di questi gruppi di persone per l’estensione di modelli di vita mediatici e televisionati risalenti agli anni ottanta del secolo scorso, aveva una sua letterarietà istintiva e poco estroflessa carpibile solo da chi godesse di profonda sintonia antropologica.

E il sesso aveva nell’aggregato emotivo di quell’immaginario una sua normalità; e non sono sicuro che le donne calabresi del tempo di Cola Ierofani si discostassero molto dai maschi per abbracciare modelli sofisticati di femminismo che, ancora oggi e sempre di più, appaiono riserva di élite inquiete e politicizzate.

Certo si sarebbe potuto attenuare l’impatto di quel ‘vissuto’ nell’aggregato del fabula e di dissimularlo attraverso l’uso della metafora: ma è una situazione di censura o di autocensura nota e denunciata già nel secolo scorso:

“Per quanto ci si imponga di forzare la situazione e di non aver paura di descrivere o di dire certe cose … le situazioni erotiche sono trattate sempre in modo un po’ eccezionale, e ciò rivela chiaramente fino a che punto il peso dei tabù e delle repressioni del passato continui a manifestarsi ancora oggi …”( J. Cortàzar, Lezioni di letteratura - Berkeley 1980).    

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Cola Ierofani, Amori e politica nel secolo breve, edito da Città del Sole, è stato l'unico libro di autore calabrese entrato nella classifica che annulamente il Corriere della Sera ricava dalle letture fatte nell'anno dai suoi giornalisti e collaboratori. Una classifica anomala ma molto prestigiosa. Il libro di Giuseppe Tripodi verrà presentato e discusso il 4 gennaio del 2015 nel "salotto" di Antonio Calabrò a Reggio.