di MARIA FRANCO -
A un anno circa dalla sua uscita nelle sale cinematografiche italiane, riesco a vedere Il Sud è niente del reggino Fabio Mollo. Un’opera prima non priva di qualche difetto (non necessaria, per esempio, la figura della nonna), ma decisamente apprezzabile. Emozionante e capace di suscitare domande e considerazioni.
Realistico e lirico nello stesso tempo, il film s’incentra sulla figura di Grazia, una giovane adolescente che – senza madre, con un padre, Cristiano, venditore di pesce stocco sempre più pressato dalle pretese di un malavitoso – dopo la morte del fratello assume atteggiamenti, vestiario, postura da maschio quasi per confondersi in lui. Finché l’incontro con Carmelo, figlio di giostrai a Reggio per festa Madonna e un abbozzo di dialogo col padre, le consentiranno di aprirsi a se stessa.
Un film fisico, che fa parlare molto la corporeità dei personaggi e la concretezza dei luoghi (il litorale reggino, ripreso senza alcuna banalità), in cui il dialogo è smozzicato, arrabbiato, sussurrato, volutamente incapace di esprimere la realtà dei fatti e dei sentimenti, ma l'uso del dialetto è discreto e sensibile.
Una storia che mi ha evocato una o più metafore sulla Calabria attuale.
Grazia, la ragazza asprigna, dura, che fa di tutto per imbruttirsi e apparire volgare, sembra un po’ come quei fichi d’india dalla scorza spinosa delle nostre colline: che si rivelano frutto pieno di noccioli, ma dal sapore di miele solo se qualcuno li raccoglie, li ripulisce, ne taglia la buccia.
Abbracci e parole – parole finalmente vere, non silenzi omertosi, sussurri che non spiegano, rabbie che non risolvono – consentono a Grazia di ri-vestirsi del suo corpo vero e di ritrovare la sua anima profonda: di cambiare per essere, di evolvere per riconoscersi nella propria verità.
Così come non l’andare via disperato (da se stessi, prima ancora che dai luoghi), unica strada intravista dal padre, ma le energie tratte dal ritrovato amore di stessa possono essere la base del nuovo futuro di Grazia (e della Calabria).