di MIMMO GANGEMI* -
Lo aveva scovato il sole. Nel salire a tracciare il giorno era scivolato sul corpo inerte sottraendolo all’ombra di una brughiera e svelandolo tra le erbe della scarpata che digradava di salto in salto fino a quietarsi nell’alveo della fiumara.
I soccorritori gli si erano messi d'intorno. Guardavano impietositi il corpo rigido di Ntoni, fradicio più d’una pan-nocchia matura dopo la pioggia, un piede nudo a cui mancava il calzare di pelle di pecora, la mano irrigidita ad artiglio a penetrare la terra in un estremo aggrapparsi alla vita.
Si trattennero muti e raccolti.
Cola, il figlio ventenne, era accorso alle urla di richiamo. Vedendolo dall'alto, aveva capito subito – ne covava il presentimento fin dal mancato rientro nella sera piovosa.
Si portò vicino e stette a guardarlo, senza dire niente, già di carattere era parco di parole. Nemmeno piangeva. Lo osservava così riverso, quasi stesse riposando, appoggiato con la nuca alla roccia su cui aveva terminato la caduta, e la vita. Aveva lineamenti distesi, che mai gli aveva visto, la testa rivolta in alto, la bocca spalancata e colma da traboccare di un'acqua strozzata in gola e rossastra per il sangue colato dal naso. Gli occhi avevano trattenuto la sorpresa: dovevano aver sfumato la vista sul cielo squarciato dai lampi e che spingeva giù acqua mentre imbruniva.
*Pubblichiamo l’incipit del nuovo libro di Mimmo Gangemi, UN ACRE ODORE DI AGLIO, da oggi in libreria