Claudio, una volta conclusa la lettura del tuo ultimo libro, Varietà, la prima sensazione avvertita è che probabilmente tu abbia voluto conferire una maggiore compiutezza al tuo lavoro interpretativo riguardo il mondo della musica e dello spettacolo in genere, sostenuto nel corso degli anni da acute analisi storiche e sociologiche.
È vero. Avendo lavorato molto negli ultimi anni sul rapporto fra musica, storia e filosofia, anche attraverso le mie lezioni concerto, sentivo il bisogno di ricomporre il puzzle della mia esperienza in tale contesto, che è nata, tra la fine degli anni ’80 e la prima metà dei ’90, come esperienza giornalistica. Ricordo che appresi che proprio Rita Pavone, il mito della mia infanzia e non solo, si apprestava a tenere un concerto al teatro Carcano di Milano. Decisi allora di realizzare un’intervista alla cantante che mi entusiasmò a tal punto da diventare la prima di una lunga serie ai divi del popular italiano, da Gianni Morandi a Ornella Vanoni, da Enrico Ruggeri a Milva, da Anna Oxa ai Pooh, da Orietta Berti a Enzo Jannacci, da Paolo Conte ad Angelo Branduardi, intrecciando personalità diversissime, che includevano non solo interpreti e musicisti, ma anche attori, conduttori, show-girl, danzatrici, scrittori e artisti visivi… Ricordo per esempio ancora con piacere gli incontri con Alberto Lattuada, Carla Fracci, le Gemelle Kessler, Nino Manfredi, Vittorio Sgarbi, Luca Barbareschi, Mara Venier, Guido Harari, Red Ronnie …
“Molte volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi”. È una frase estratta dalla lettera scritta da Umberto Eco a suo nipote. Credo che Varietà nel riportare interviste anche a personaggi ormai non più fra noi (mi sovviene quella con Manfredi, piuttosto toccante), protagonisti negli anni ’60-’70 e ancora con molto da dire, artisticamente parlando, nel decennio successivo, possa svolgere una funzione di memoria storica.
La ragione per cui ho deciso di “salvare” le interviste contenute in Varietà, che avevano già avuto una ricca vita autonoma, è proprio quella che citi: contribuire a trasmettere una memoria storica che, in tempi smemorati e banali come i nostri, rischiava di andare perduta. Il fatto che nell’antologia compaiano nomi come quelli di Mia Martini e Nino Manfredi, Wanda Osiris e Bruno Lauzi, Mino D’Amato e Alberto Lattuada, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini – che non sono più fra noi – mi ha stimolato a raccogliere e custodire, cercando di passare questa eredità a quanti verranno. Sono poi convinto che l’identità italiana contemporanea si sia costruita proprio nella seconda metà del Novecento, quando musica, televisione e cinema, fra gli anni ’50 e ’60, iniziarono a esercitare il loro potere di comunicazione e trasmissione di un immaginario nazionale collettivo, e questo faceva dei divi del pop di allora quasi degli eroi epici amati da un’intera nazione, si trattasse di Celentano o di Mina, della Pavone o di Morandi, mentre poi coi nuovi divi il rapporto è andato raffreddandosi sino a diventare algido e distaccato, per esempio nei media della moda e della pubblicità, ma anche nella stessa canzone con talent usa e getta. Per questo tornare alle origini, al mythos fondativo, è un modo per recuperare energia. E Varietà è un viaggio sino al dissolversi del mito, e cioè sino alla fine del secolo.