LE RECENSIONI DI MARIA FRANCO. Il banchetto di nozze di Carmine Abate

LE RECENSIONI DI MARIA FRANCO. Il banchetto di nozze di Carmine Abate
abate  «Per invogliarmi a seguirla, la nonna mi promise che mi avrebbe portato nel luogo più stralucente dei dintorni, di una magarìa rapinosa. (…) Alla nonna risposi: “No, io non vengo con te, non tengo nessuna gulìa di camminare”. Lei mi sorrise, sapeva come prendermi: “Se vieni, ti faccio la frittatàtica mare e monti, quella che ti piace assai. Ce la mangiamo appena arriviamo là. (…) La nonna prese la padella più grande e gli ingredienti che le servivano per la frittata mare e monti di sua creazione: l’olio del Pigàdo, cinque uova delle galline nostre, due cucchiaiate di sardella, un trancio di tonno e qualche fungo sott’olio, una cipolla rossa, un pizzico di pepe e sale. Aveva mani piccole e magre, ma fortissime, la nonna. E cominciò a tagliuzzare la cipolla e i funghi, a rompere le uova con un colpetto secco sul bordo di un grande piatto, dove mescolò tutti gli ingredienti usando la forchetta con una velocità sorprendente. Appena l’olio nella padella prese a sfrigolare, versò il composto con delicatezza e mi disse: “Sarà una cosa fina.” I profumi cominciarono a stuzzicarmi il naso. E quando vidi la nonna tagliare in due il pane fresco e morbido, che noi chiamiamo shtipura, mi venne l’acquolina in bocca.»

«Per invogliarlo a seguirmi, promisi a mio figlio che il giorno della Pasquetta lo avrei portato a Punta Alice, il luogo più stralucente dei dintorni, e Michele, che ama il mare, mi disse subito di sì. (…) in suo onore mia madre decise di preparare le cuzzupe, come non faceva da quando ero bambino. Mio padre le portò rronxen dal bosco, le radici di robbia. E Michele osservò stregato la nonna che le schiacciava con una pietra piatta fino a sfilacciarle e le sistemava poi in una pentola piena d’acqua tiepida e di uova fresche. Nella mattinata aveva impastato la farina di grano tenero aggiungendovi semini di anice, sale, zucchero e un po’ d’olio. E, mentre le uova si tingevano di rosso, lei si sbizzarriva a intrecciare e intagliare i cordoni di pasta a forma di paniere, di uccello, di otto o addirittura di capanna, infilando sulla ciambella tre pezzetti di legno rivestiti di pasta. “Mo’ tocca a te”, disse infine a Michele, che non stava più nella pelle dall’eccitazione. Spettava al più piccolo incastonare le uova rosse di robbia dentro la pasta lavorata.»

Dalla propria infanzia all’infanzia del primo figlio, Carmine Abate firma col suo ultimo libro, Il banchetto di nozze altri sapori, recentemente edito da Mondadori, una sorta di autobiografia alimentare. Ovvero, ricostruisce la sua storia, quella della sua famiglia e della comunità arbëresh cui continua ad essere legato, attraverso i sapori, i colori, il fragrante tripudio dei cibi che hanno costellato la sua crescita, le sue esperienze di bambino, di figlio di un germanese, cioè di un emigrato in Germania, di studente fuori casa, di laureato in lettere, di emigrato egli stesso in Germania, di professore in Trentino, la terra di mezzo, diventata casa sua e della moglie tedesca: «Eravamo entrambi grati alla terra di mezzo che aveva rafforzato il nostro amore, mentre la Calabria e la Germania, con la loro influenza prepotente su di noi, tendevano a indebolirlo.»

Scorrono nel libro decine e decine di nomi di cibi e ricette, soprattutto arbëreshë ed anche tedeschi e trentini. Ma Il banchetto di nozze e altri sapori non ha niente a che fare con i troppi libri in circolazione che parlano di cibo. Nonostante sia un continuo affresco di primi, secondi, contorni, dolci, non produce il senso della malsana abbuffata. Documento prezioso per storici e sociologi, il nuovo libro di Carmine Abate è il racconto di uno scrittore di razza su un modo di essere, di assaporare la vita, di creare relazioni autentiche, di dare alla cultura “il sapore della cuntentizza”: «Cucinare, mangiare vuol dire questo: accogliere. Gli amori, gli amici, i figli, i nipoti.»

Carmine Abate, Il banchetto di nozze e altri sapori, Mondadori, pp166, euro 15