Il lockdown costa 47 miliardi al mese, 37 al Centro-Nord, 10 al Sud. Considerando una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, il Pil nel 2020 si ridurrebbe, in base a stime SVIMEZ, del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del -7,9% nel Mezzogiorno.
Da un recente report SVIMEZ si evidenzia che l’emergenza sanitaria colpisce più il Nord, ma gli impatti sociali ed economici tendono a propagarsi in maniera più uniforme sul territorio. La straordinarietà della dimensione del lockdown si legge nella quota di impianti “fermi”: SVIMEZ ne stima più di 5 su 10 in Italia. A livello territoriale, sono più interessate le regioni del Nord soprattutto in termini di valore aggiunto (49,1%, circa 6 punti percentuali in più rispetto al Centro e al Mezzogiorno). In termini di occupati interessati la forbice si annulla tra Nord e Sud: 53,3% nel Nord, 51,1% al Centro e 53,2% nel Mezzogiorno.
La SVIMEZ stima che un mese di lockdown “costa” 47 miliardi di euro (il 3,1% del Pil italiano), 37 dei quali “persi” al Nord, 10 nel Mezzogiorno. Si tratta di 788 euro pro capite al mese nella media italiana, 951 euro al Centro-Nord contro i 473 al Sud. Se si analizza l’intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso, sono interessati dal lockdown il 34,3% degli occupati dipendenti e il 41,5% degli indipendenti. Sono “fermi” circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti interessati: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si tratta in larga parte di autonomi e partite iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno. La perdita complessiva di fatturato è di oltre 25,2 miliardi in Italia, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord, 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno.
La maggiore fragilità e precarietà del mercato del lavoro meridionale rende più difficile assicurare una tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, con impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area. Il decreto cura Italia ha esteso gli ammortizzatori sociali da una platea di circa 10 milioni di dipendenti privati a 14,7 milioni. Rimangono privi di tutela circa 1,8 lavoratori privati dipendenti, di cui 800 mila lavoratori domestici (200 mila al Sud e 600 mila nel Centro-Nord) e circa 1 milione di lavoratori a termine, che pur avendo lavorato in passato non erano occupati il 23 febbraio (350 mila al Sud e 650 mila nel Nord). Si tratta di una platea cui occorre dare risposta con uno strumento universale di tutela dalla disoccupazione, ma che non debbono rientrare nell’area assistenziale del Reddito di Cittadinanza. Infine, va considerato che, oltre a circa due milioni di lavoratori irregolari (1,2 milioni al Nord e 800 mila nel Mezzogiorno) è possibile stimare circa 800 mila disoccupati in cerca di prima occupazione che per effetto della crisi presumibilmente non potranno accedere al mercato del lavoro nei prossimi mesi, concentrati prevalentemente nel Sud (500 mila a fronte di 300 mila nel Centro-Nord).
SVIMEZ stima un calo del Pil del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del - 7,9% nel Mezzogiorno. Si tratta di una previsione che considera il solo impatto del “cura Italia”. Ulteriori interventi espansivi potrebbero attenuare la dinamica recessiva. Il Mezzogiorno incontra lo shock in una fase già tendenzialmente recessiva, prima ancora di aver recuperato i livelli pre-crisi, ancora inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7Sulla base dei dati di bilancio disponibili per un campione di imprese con fatturato superiore agli 800.000 euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo dell’indebitamento portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord.