Accadono cose inaspettate in questo tempo sospeso e impenetrabile. Come se, in mezzo al buio, piccole lucciole ci svegliassero da un torpore antico, attivando una parte sconosciuta e persa, amplificassero una sensibilità sconosciuta, trasformandoci in moltiplicatori di doni.
La videochiamata di chi non ci aveva mai contattato, spinge ad uscire dalla solitudine ansiogena. La frase di un poeta si condivide nelle chat. Tanti riscoprono il calore di amicizie lontane, di rapporti smarriti e ci chiedono di assaporarne il gusto dimenticato.
Gesti lasciati nei corridoi dell'infanzia, si intrecciano ad altri che scandiscono il presente e salvano vite.
Mio padre, medico di famiglia, quando ero piccola, a volte, rientrava a casa, senza salutare. Sapevamo che andava direttamente in veranda per lasciare fuori il soprabito, prima di lavarsi e a cambiarsi, perché aveva visitato un ammalato "contagioso". A questi gesti di attenzione mi ha riportato la raccomandazione su WhatsApp :"Resta a casa, la situazione è seria", inviata da mio cugino, da anni, e mai come adesso, in trincea nel reparto di malattie infettive.
Stiamo vivendo un'occasione unica, la cui pienezza potremo scorgerla solo quando si compirà quel "tutto andrà bene", che oggi tante piccole mani hanno dipinto e appeso ai balconi.
Di certo chi ora vive in trincea, non sarà più come prima, lo conserverà nello sguardo, divenuto più profondo, nelle mani che hanno protetto la sacralità della vita. Non lo smarrira' chi cura gli anziani nelle strutture e sente tutta la responsabilità di proteggerli e assisterli.
Ne avrà traccia quel sindaco che piange sulla sua città deserta.
Non sarà più lo stesso chi è guarito e chi non ha potuto nemmeno celebrare il funerale di suo padre.
Ma anche gli altri. Gli altri, quelli restati a casa, quelli scampati, quelli che pensavano che tanto non succede a me, perché sono giovane, sono più furbo. Quelli che hanno avuto paura, che avevano avuto un contatto e contavano uno ad uno quei 14 giorni. Quelli che non capivano il senso e vedevano la pagliuzza, ma non la propria trave. Ne verremo fuori diversi o tutto sarà schifosamente come prima. É possibile uscire dalla quarantena e di nuovo vivere nell'urlo e nella rabbia, nella chiusura e nell'ostilità, nella volgarità e nell' indifferenza?
Non ce n'è uno che non sia stato toccato nella carne e trasformato nel profondo. Forse è sperare troppo, credere che siano tornate le lucciole?
Ogni qualvolta la storia spariglia le umane certezze, gettandoci nella fragile precarietà delle cose, é proprio allora che possiamo rialzarci diversi.
É allora che si ricomincia, quando abbiamo ricordato come si accarezzano le ferite.