Due opere e un denso saggio di Autori eccellenti. Massimo Luciani, già Professore ordinario di Istituzioni diritto pubblico nella Facoltà giuridica de La Sapienza romana, già presidente dell’Associazione italiana dei
Costituzionalisti., accademico dei Lincei, autore di Ogni cosa al suo posto. Sottotitolo ‘militante’: Restaurare l’ordine costituzionale dei poteri (Giuffrè 2023). Geminello Preterossi, filosofo del diritto, direttore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, direttore de La Fionda, autore di una fulminante
introduzione al libro di Dieter Grimm Sovranità dal polemico, inequivoco, titolo Sovranità, non sovranismo (Laterza 2023). Andrea Guazzarotti, già assistente alla Corte costituzionale, Professore di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Ferrara, autore di Neoliberalismo e difesa dello Stato di diritto in Europa. E anche qui un sottotitolo ancor più evocativo del titolo: Riflessioni critiche sulla costituzione materiale della UE (Franco Angeli, 2023).
Tre discorsi hegeliani. “Non tutto ciò che è noto è conosciuto”, dice il filosofo. E i nostri tre ‘ospiti’ ci parlano, appunto, di ciò che è noto ma è poco conosciuto, taciuto, rimosso. Tre lezioni d’autore. Ma chi è un autore? Un autore è chi scrive qualcosa di autentico, di controcorrente rispetto al senso comune. Un autore poi si riconosce anche per il fatto che i suoi lettori si sentono ‘autorizzati’ a sviluppare in modo personale la sua lezione, a pensare l’impensato. Anche al di là delle intenzioni dello stesso autore. Come in un romanzo.
Cantaro, ad esempio, alla fine della trasversale lettura di Luciani, Preterossi, Guazzarotti vi ha colto un comune messaggio. Quale? Abbiamo un problema; le nostre società hanno un problema. Intendiamoci. Avere un problema è ciò che rende vitale la nostra esistenza. Il vero pericolo non è avere un problema, ma non porsi più domande sulle sue cause perché si preferisce, per affrontarlo, attingere a risposte preconfezionate. C’è sempre una app pronta ad aiutarci, a indirizzarci, a metterci sulla retta via...
Questa è oggi la prevalente condizione dell’uomo occidentale. Se ne parlerà anche oggi pomeriggio, sempre qui nella città ducale, in un altro seminario sulle nostre società della prestazione che crescentemente offrono risposte preconfezionate, algoritmiche, per ogni nostro problema. Una triste condizione che proviamo a compensare, in primo luogo nella rete, esasperando le nostre identità, soggettività, emozioni. Quelle passioni tristi mirabilmente scolpite nel teatro di Giorgio Gaber. Far finta di esser sani. Questo tema è felicemente colto da Luciani quando alla domanda che attraversa molte pagine della sua opera su quale sia il male oscuro delle nostre liberal-democrazie offre la spiazzante risposta (urticante, direbbe Preterossi) che la crisi della rappresentanza politica ha le sue origini, innanzitutto, nella crisi dei rappresentati, nella loro spoliticizzazione. Nella «perdita di identità civica», nella «precarizzazione e parcellizzazione del lavoro», nel «processo disgregativo delle identità personali e collettive che rende proibitivo il compito di intendere le soggettività rappresentate e di orientare la ricerca del consenso».
Ma perché il problema dei problemi della spoliticizzazione dei rappresentati che a Luciani sembra “evidente” è largamente rimosso nel discorso pubblico? Perché da tempo è diffusa la convinzione che la crisi delle nostre democrazie è primariamente dovuta ad una mediocrità della classe politica e a un deficit di governabilità. Ed essendo quella disciplina che va sotto il nome di ingegneria istituzionale piena di prodotti a buon mercato che promettono ottime performance, perché porsi la domanda sulle vere cause della passivizzazione delle masse? Il problema - si postula - è bello che risolto con una riforma elettorale e una riforma presidenzialista della forma di governo. Scegli direttamente, plebiscitariamente, l’homme du peuple, la femme du peuple e il resto - governanti responsivi e governance efficienti - seguiranno.
Chi avanza dubbi sulla favola che lo scadimento della democrazia rappresentativa sia da imputare esclusivamente alla qualità della classe politica e al deficit di governabilità viene stigmatizzato come un nostalgico conservatore. Tante volte negli scorsi decenni abbiamo sentito dire che il problema italiano era Berlusconi e che venuto meno il Cavaliere le magnifiche e progressive sorti della governabilità avrebbero camminato a vele spiegate. Berlusconi politicamente non c’è più da tempo. Ma il berlusconismo ha trovato altri interpreti: evidentemente il principale problema non era il cavaliere, ma il cavallo. Per i benpensanti dei nostri giorni il male oscuro delle nostre democrazie è il sovranismo di cui parla Preterossi nella sua introduzione al bel libro del costituzionalista tedesco Dieter Grimm.
Essere “padroni a casa propria”, dicono i politici sovranisti. Ma il trumpismo, il lepenismo, il populismo rozzo non sono la causa del dilagante successo di questo rozzo sentimento proprietario, ma l’effetto di qualcos’altro. Di una reazione a tutte quelle opache narrazioni - globaliste, elitiste, paternaliste - che rimuovono l’esistenza dei conflitti sociali e, di conseguenza, la legittimità di una domanda di emancipazione collettiva e di protezione da parte della società. Quelle prestazioni della Repubblica costituzionalmente doverose ai sensi del principio di eguaglianza sostanziale, limpidamente codificato nel secondo comma dell’art. 3 della nostra Carta fondamentale.
E qui interviene il discorso di Guazzarotti sulla costituzione materiale dell’Unione europea. Una costituzione che internalizza le esigenze competitive del mercato e trascura i valori non economici delle società europee, pur santificandoli sotto l'etichetta dello “Stato di diritto". Un modello in cui le relazioni sociali non hanno bisogno di mediazione politica: non esistono interessi contrastanti e l’ordine va semplicemente scoperto, essendo fatto di regole automatiche capaci di ispirare e guidare ogni comportamento umano in modo a-conflittuale. Una illusione che sta oggi giungendo al capolinea con la
geopolitica etno-nazionalista degli Stati membri dell’Europa centrorientale - Ungheria e Polonia - e con la guerra in Ucraina che hanno riportato al centro il tema del ritorno del conflitto nella forma tragica del ritorno del nemico.
Il messaggio etico, politico e culturale dei tre nostri ospiti è, dunque, largamente omogeneo. Ed è il messaggio, ricordavo all’inizio, che è a fondamento anche della Scuola di educazione alla politica che oggi
inauguriamo e che nel suo primo anno avrà tra i suoi fili conduttori il tema Guerra/guerre. Una sfida temeraria. Parlare senza retorica dello Stato della Costituzione del 1948: la Repubblica democratica fondata sul lavoro, sulla emancipazione dei governati. Parlare, senza retorica, dello Stato della Costituzione oggi: cosa resta del programma dei padri fondatori. Cosa fare per renderlo di nuovo vivo. Sfida temeraria; ma, come dice il poeta, dove cresce il pericolo, cresce anche la speranza.
La speranza che la Costituzione del ‘48 torni ad essere la “Carta degli italiani”. Delle italiane, come ci ha raccontato il fulminante finale del film di Paola Cortellesi. Il faro e il programma fondamentale della vita della polis, una promessa di riscatto umano, esistenziale, economico, culturale per le classi subalterne. Un’autentica Carta dei diritti di libertà sociale, dei permanenti poteri costituenti dei governati, dei loro doveri di solidarietà. Altrimenti hanno ragione i nostri studenti. È solo noia: è solo una costituzione di carta.
*Introduzione al Seminario inaugurale della Scuola di educazione alla politica promossa da Itinerari e incontri e fuoricollana.it che si svolgerà a Urbino, Mercoledì 28 febbraio 2024, ore 9.00. Aula 1, Scuola di Scienze politiche, Piazza Gherardi 4.