Nel 2013 Salvini, da poco eletto segretario, annuncia la svolta “sovranista” della Lega e l’apparente abbandono della richiesta di “Indipendenza della Padania” per provare a trasformare in partito nazionale una forza politica ad insediamento regionale. Passare da nordisti a nazionalisti, da separatisti a unionisti, da sfasciatori della nazione a oltranzisti difensori della sua sopravvivenza contro la matrigna Europa nemica delle identità nazionali, era approdo così inverosimile da restare ammirati da cotanto coraggio sorretto da un’eccezionale faccia tosta.
Per riuscirci, però era indispensabile allargare la base elettorale in Terra infidelium, cioè tra gli infingardi e oziosi meridionali, tra gli spiaggiati al sole delle coste mediterranee, tra gli sdraiati sui divani delle loro case abusive, tra i nullafacenti seduti ai bar dei paesi addormentati, tra gli impiegati strafottenti e corrotti, Insomma, bisognava passare dall’avversione preconcetta a un’opera di apostolato civile per impedire che l’elettore meridionale fosse ancora condizionato da clientele, corruzione e mafie. Insomma, una strategia di trasformazione del voto terrone da strumento di asservimento a occasione di liberazione, che il “capitano” Salvini avviò immediatamente con un piglio degno dell’impresa garibaldina dei Mille.
Si poteva concretizzare questa aspirazione solo con “apostoli” scesi dal Nord a “convertire bestie e genti”, come cantava il poco settentrionale Fabrizio De Andrè? No, non si poteva. Era indispensabile puntare sull’appoggio di chi già nel passato aveva usufruito della fiducia dei meridionali, cioè allearsi con una parte della classe dirigente che prima si era combattuta. E così Salvini diede vita a una forma originalissima di trasformismo, il trasformismo geografico: portare, cioè, nelle proprie file pezzi di quel Sud malato e affidare a queste persone il radicamento della Lega oltre il Garigliano. I risultati elettorali gli dettero ampiamente ragione: la Lega di Salvini arrivò nel 2018 al 17,4%, quadruplicando i voti del 2013 (fermi al 4,1%). Nelle elezioni europee del 2019 il risultato fu ancora più travolgente, il 34,33%. Nei collegi meridionali fu un successo strepitoso: dallo 0,8% del 2014 al 6,2% nel 2018 fino al 20,2% alle Europee del 2019, con punte ancora superiori in Sicilia. Milioni di elettori se l’erano bevuta: la Lega Nord voleva molto bene al Sud, anche se per dimostrarlo bisognava aspettare che prima il Nord raggiungesse tutti i suoi obiettivi. Se fosse restato qualcosa, il Sud sarebbe stato il primo a usufruirne. D’altra parte, in Sicilia lo slogan della Lega non era “prima i siciliani”? e in Campania “prima i campani”? e in Calabria “prima i calabresi”? Con la Lega ogni abitante di un comune veniva prima di ogni altro per virtù di un particolare sovranismo localista. Sembrava finalmente realizzarsi lo slogan di Cetto La Qualunque, lo straordinario personaggio politico di Antonio Albanese.
“Onestà e fedina penale pulita” erano state le condizioni poste da Salvini per valutare i nuovi candidati nel Sud. Ma la necessità di un nuovo radicamento elettorale, ha portato la Lega a incrociare i sistemi clientelari e, di conseguenza, a sfiorare anche quelli mafiosi. Ancora una volta esponenti delle classi dirigenti del Nord sono partiti da posizioni di totale avversità nei confronti dei politici meridionali per poi servirsene.
Il caso che ha riguardato il vicepresidente della Sicilia non è affatto isolato. Certo, la parentela diretta o indiretta con familiari di mafiosi non implica nessuna responsabilità del politico locale o nazionale, ma è singolare che in molti scioglimenti di consigli comunali i prefetti citino come motivi di sospetto la presenza di parenti di mafiosi tra gli eletti. Salvini è stato ministro degli Interni e ha firmato alcuni degli scioglimenti così motivati. Se il rapporto di parentela viene indicato (non da solo, naturalmente) come sospetto di possibili infiltrazioni mafiose, perché mai lo stesso criterio non è stato applicato dalla Lega quando ha scelto nel Sud i candidati?
Dunque, è nel Sud che si è prodotta la più grande delegittimazione della Lega come forza politica nazionale e fustigatrice dei vizi italici. I trasformisti settentrionali non sono diversi da quelli meridionali: li unisce l’aspirazione al potere prima di ogni ideale. Gli intransigenti che transigono sono una delle continuità più insopportabili della storia italiana.
*già pubblicato su Repubblica.