Quando cade un’icona: donne, ‘ndrangheta e strumentalizzazione

Quando cade un’icona: donne, ‘ndrangheta e strumentalizzazione

CG     di ALDO VARANO - Di straordinario nella vicenda della signora Carolina Girasole, già sindaco furiosamente antimafia di Isola Capo Rizzuto, c’è questo: oggi che l’hanno arrestata, fatto un giro sui giornali, nessuno (o quasi) avanza dubbi sulla sua colpevolezza e non trapela neanche il vago sospetto che si possa trattare di un equivoco. Solo qualche incredulità dubbiosa via Fb.

Si avverte – e si legge –, quasi ovunque, la stessa identica certezza che fece della signora un’icona antimafia e che ora l’ha trasformata in una specie di miss Hyde. Un mostro che, rubata la purezza dei sentimenti e delle pulsioni antimafia di un popolo ingenuo e generoso, li ha usati spregiudicatamente per arraffare successo e potere: il peggio del peggio.

     Per questo, nonostante le prove di accortezza e perfino di saggezza date dalla procura antimafia di Catanzaro, ci permettiamo di sederci noi (che della Girasole mai abbiamo scritto e che mai abbiamo conosciuto) dalla parte del dubbio: l’unico posto rimasto quasi vacante; avrebbe chiosato, come noi al di là del merito, un grande poeta.

Ma nessuno in Calabria può cacciarsela a buon mercato. Dobbiamo fare i conti con un modo di pensare che ci impedisce di guardare al di là della punta del naso perché procede attraverso emozioni e desideri e al massimo usa la ragione e il buon senso, quando lo fa, successivamente e solo per legittimare o giustificare i nostri abbagli.

E’ il meccanismo delle icone ad essere sbagliato. Il fatto che ci sia una prevalente tendenza a costruirle da parte della variegata cultura della sinistra non dimostra la loro utilità ma la massimo la difficoltà della sinistra a capire le ragioni della laicità e l’incapacità di aderire a tutte le pieghe contraddittorie, come si diceva una volta, della società civile.

Ora bisognerà raccogliere i cocci. Le accuse contro Carolina Girasole sono tali da condizionare pesantemente l’immagine di altri protagonisti (donne e uomini, di ‘ndrangheta e no) scelti in Calabria come icone di qualcosa. Sarà difficile togliere dalla testa dei calabresi e di tutti gli italiani che se tanto è stato possibile per la Girasole c’è il dubbio che anche ... per non dire di … e via elencando sospetti di possibili imbrogli. L’intera Calabria pagherà un prezzo di credibilità; altissimo. Non per colpa della signora Girasole ma per come è stata usata. E’ ingiusto che accada, ma è così e si farebbe male a non tenerne conto.

Mi chiedo: è casuale che accada a partire dalle donne e a partire soprattutto dalle vicende di ‘ndrangheta?

La sensazione è che la lotta contro la ‘ndrangheta, sia lotta che la Calabria ha scelto di delegare ai poteri repressivi e del contrasto senza mai coralmente impegnarsi, come pare invece necessario, in prima persona con forza e determinazione. La Calabria non deve mai fare direttamente qualcosa contro la mafia. Al massimo deve sostenere o esprimere solidarietà a qualcuno o qualcosa.

Da qui, ed a copertura di tutto questo, la ricerca di simboli e icone che meglio aiutano a nascondere la nostra responsabilità collettiva accuratamente scansata.

E che c’è di meglio, in una società come quella attuale, quando si tratta di trovare surrogati e coperture, di strumentalizzare le donne magari concedendo qualcosina (molto meno dei loro diritti) in cambio?