di ALDO VARANO -
UNO. Certe volte la pezza è peggiore del buco. Assai. Va ricordato, con umiltà, a Castorina, al Pd, al Csx, a Falcomatà. La sua maggioranza ha fatto un grave errore politico. Il tentativo di spacciarlo per una geniale e sofisticata operazione ideale e politica che il popolo (soprattutto di Csx) non capisce (popolo bue, è il presupposto necessario) sarebbe assai peggio. Il documento sulla famiglia naturale, la solennità greve per contrastare qualsiasi presunto freno alla sua difesa, la giornata della famiglia naturale sono, dal punto di vista culturale e politico, ma anche per l’interesse della città, una colossale sciocchezza. E in politica, chi è forte e vuol crescere, quando fa una sciocchezza, si alza, lo dice e s’impegna a non farne altre. Contorsioni, accuse di ricostruzioni faziose e cervellotiche, dagli agli altri che non capiscono, ingenerano il dubbio che anziché alla mitezza e trasparenza del ragionamento, si punta a far saltare il banco dell’opinione pubblica con l’arroganza. Meglio i disagi e i tormenti di Delfino e della Iachino, timidi e contradditori (ma umanissimi), tarpati da una malcompresa disciplina di squadra, anziché l’opposto.
DUE. Una rondine non fa primavera. Un errore non è la prova definitiva di un callido tradimento. Giocare non a raddrizzare ma a fargliela pagare (magari per questioni sospese o dissensi altri) è un errore, anche questo politico e culturale. I 100 giorni che sconvolgono la città o la perdono sono enfasi e retorica. Invenzione non di Machiavelli o dei filosofi della politica, ma di giornalisti titolisti costretti a tagliare la complessità a colpi di semplificazione (dietro, c’è sempre il popolo bue). Esistono già oggi gli elementi per un giudizio (no un auspicio, ma un giudizio) definitivo sulla giunta Falcomatà? Difficile sostenerlo. Arriverà il momento. E forse non bisognerà aspettare molto. Capiremo allora se le (nostre) care speranze sono (state) la vita ed il nulla.
Quello che oggi si capisce, a me pare, è che le difficoltà sono maggiori di quelle immaginate, e che l’emergenza (cattiva compagna che s’impone perché prima viene la vita della gente che sta male e poi il resto) sta impedendo il dispiegarsi di una strategia di chiaro e netto segno rinnovatore. Non sottovaluto il tentativo di ammodernare una macchina comunale che ostacola pesantemente anziché aiutare, di vigili urbani ad altri settori in cui si vuol ficcare il nuovo. Bisogna tener conto che si sta cambiando la gomma con la macchina a palla. Ma chi gestisce i drammatici problemi della città e deve insieme irrobustire e allargare il consenso, farebbe male a non rendersi conto che, specie tra le fasce che più hanno investito su Falcomatà, serpeggiano disagi e corrosione.
TRE. Questo quadro ha drammatizzato la sciocchezza sulla famiglia naturale. Chi ha sostenuto Falcomatà (le fasce più convinte) può anche capire che lui “non ha la bacchetta magica” (come ha detto con una botta di cattiva comunicazione) e che quindi bisogna aver pazienza. Ma nessuno capisce, né accetta, un documento che comunque lo si voglia interpretare ha il significato inequivoco di un gesto politico di ostilità all’espansione dei diritti dell’intera comunità reggina, intesa senza eccezione alcuna. Peggio, quel documento crea difficoltà anche agli strati più sensibili del cattolicesimo democratico che vedono sopravanzare forze integraliste e ideologizzate, distanti e sorde al messaggio di Papa Francesco e al giuramento di Mattarella (che viene dalla storia dei cattolici democratici) alle Camere.
QUATTRO. Ma l’errore non è solo d’immagine. Reggio è percepita sotto sotto la suola delle scarpe. E’ l’unica grande metropoli mediterranea ed Europea disonorata dallo scioglimento per mafia. Sempre al fondo delle classifiche del vivere civile, non ha acqua potabile nelle case. Ha le buche e solo ora (con la giunta Falcomatà) sta tentando di togliere i rifiuti dalle strade, mentre diventa sempre più difficile perfino arrivarci tra aeroporti che chiudono, l’A3 che inizia a crollare, i treni cancellati. Perfino chi vuol darci una mano (vedi l’ultimo numero dell’Espresso e il bel reportage di Turano, che è reggino) è stato costretto a un lungo elenco di drammi, macerie e macigni.
Il voto sulla famiglia naturale dà l’impressione di un utilizzo della pancia delle parti culturalmente meno attrezzate di Reggio. Tenta di alimentare paura, odio e contrapposizione sociale tra poveri. Chi l’ha voluto lancia un messaggio: “Aiutano i ricchioni e fottono le famiglie vere”. Volgarità a parte, tenta di saldare arretratezza economica e sociale a quella culturale. Un’operazione politica che rischia di modificare la maggioranza ideale e culturale che ha scommesso sulla svolta. La famiglia, le famiglie, si difendono con gli asili nido, col lavoro per chi le crea, con le abitazioni, spezzando la paura del vivere assieme che sta moltiplicando il vivere single.
CINQUE. Trovare il modo per chiedere scusa. Capire cosa non ha funzionato se è vero, come è vero, che molti di quelli che hanno votato per la famiglia naturale lo hanno fatto, diciamo così, a propria insaputa. Soprattutto cancellare con urgenza le conseguenze che il documento promette con un’iniziativa “ad horas” sull’espansione dei diritti civili dell’intera comunità reggina. Ricondurre a questione privata la legittima voglia dei singoli gruppi di celebrare tutte le giornate che vogliono. Questo messaggio Reggio deve mandare all’Italia. Subito.
Questo, probabilmente, serve e si aspettano i sostenitori dell’operazione Falcomatà. Non è difficile. E farebbe fare un passo in avanti alla città.