DALL’INVIATO AI MONDIALI. Costarica: piccoli popoli crescono. E buschiamo

DALL’INVIATO AI MONDIALI. Costarica: piccoli popoli crescono. E buschiamo

costarica     DALL’INVIATO . Siamo arrivati a Recife di buon mattino: in programma c’è l’Italia, e non possiamo scherzare. Lasciamo l’aereo in un hangar clandestino, in periferia, dagli amici di Jerry, che qui in Brasile sembra essere molto conosciuto, sia per la sua passione per gli alcolici che per il destro di pietra.

La città è un capolavoro: una scogliera corallina davanti al mare, una scogliera di baraccopoli alle spalle; Recife è tra le prime di tutto il Sud America quanto a turismo, delinquenza, gioco d’azzardo e investimenti stranieri. Nelle sue vie di Boa Viagem, il quartiere dell’accoglienza, si può trovare tutto ciò che l’uomo può desiderare. Ovunque è un tripudio di commerci. Giochi, sagre, fiere e lotterie.

Ci siamo fermati, solo per fare una puntatina. Esse-Esse, il tedesco che ho assunto come fotografo perché possiede una Polaroid del ’75, ci ha convinto a impegnare i biglietti per lo stadio: due allibratori amici suoi gli avevano spifferato un cane vincente al cinodromo più vicino. Era un levriero secco - secco, le zampe storte e una chiara espressione di sconfitta sul muso; era dato 30 ad 1. Questo è il trucco per far vincere di più, riflettevano gli amici stringendo le birre in pugno. Si chiamava Aristoteles, il levriero, ed arrivò ultimo.

I due amici di Esse Esse, un tizio nanerottolo di nome Bob con una orrenda mantellina a quadri e un naso monumentale, e un laido Conte decaduto armato di monocolo e bombetta lisa, per mostrare la loro buona fede ci hanno trovato un posto dove vedere la partita: una grande sala da matrimoni con schermo gigante e proiettore stile cinema. Era stata affittata ai club della Costarica che erano rimasti privi di biglietto, ma che importa: noi giornalisti sappiamo essere sportivi. Ed anche remissivi, quando è il caso.

La sala era una bolgia. Appena si sono accorti che c’era un italiano, e cioè io, perché i miei companeros si sono subiti dissociati, dichiarando il loro tifo storico per la Costarica, sono stato al centro dell’attenzione. Mi versavano da bere, mi sbucciavano frutta, mi sorridevano, cantavano, mi battevano pacche sulla spalla. Un donnone di più di centocinquanta chili mi fece gli occhi dolci per tutto il tempo, i ragazzini venivano a toccarmi per vedere come ero fatto. La Costarica mi è simpatica. Una nazione senza esercito, dove si vive tranquillamente e senza astio. Tutti uniti dal sole dai Tropici. E fanno la differenziata. Direttore non ci crederai: lì non esiste la spazzatura. Forse se la mangiano, mica sono civili come noi in Calabria!

Guardo L’Italia giocare con sufficienza. Tocchetti e tocchettini e ogni tanto il profeta Pirlo che s’illumina e lancia. Ma siamo sgonfi. Pile scariche e mente altrove. Quelli sono tosti. Quadrato difensivo, e pedalare. Picchiano come martelli e ronzano come api. Affettano il centrocampo e strapazzano la difesa. Il nostro attaccante volteggia, finge di combattere poi si spegne come candela senza cera. Loro premono, combattono, pressano, quando possono affondano infine in un lampo cross e gol. Segnano.

Non so cosa sia successo poi in campo. In quella sala è scoppiato l’uragano. Almeno tre orchestrine sono sbucate fuori e sono iniziate le danze. Hanno portato barili di Rhum, e arrostito almeno cinque maialini da latte. Al fischio finale sono stato portato in trionfo. La Diablerona presente ha detto che ho portato fortuna alla squadra della Costarica, e che sono caro al destino e agli dei. Mi vogliono nel loro gruppo per il proseguimento dei mondiali. Da adesso in poi devo essere al loro fianco. Ho finto di acconsentire, così ci hanno lasciato tornare all’aereo.

Passando dalla giungla, sentivo la tristezza della sconfitta. Ma questo è il calcio. La sua misura. Uguale a quella della vita. Si vince e si perde. Spero che gli Azzurri non facciano scherzi. La vita da inviato ai Mondiali è meravigliosa, e non ci tengo affatto a tornare prima. Domani scrivo a Prandelli.

Florentino