Come i confezionatori di fake news (ma quelli agiscono nell'ombra, perseguibili per legge), i bufalari più insidiosi sono spesso persone colte.
”T'amo, o pia bufala. E mite un sentimento al cor m'infondi …”
Ebbene, sì, lo confesso: adoro le bufale. Non tutte, ovviamente, ma solo quelle che emergono con selvaggia spontaneità da cuori semplici e genuini: in loro c'è tutta la millenaria storia di santi, maghi, personaggi buoni e personaggi cattivi che, in fondo, hanno costituito il background di intere generazioni cresciute attorno al focolare o al braciere, invece che sotto la tirannica e devastante tirannia degli smartphones.
Adoravo quel mio compaesano che, durante la guerra, fu capace di riparare un sommergibile in avaria (!),con l'ausilio di un semplice cacciavite e che, al comandante che, estasiato e prono, gli chiedeva come potesse ricompensarlo, oppose soltanto il mai esaudito desiderio di ”poterci fare un giretto”. ”Eccoti le chiavi!", esclamò il capitano, felice di potersi sdebitare con così poco, mentre il mio compaesano, tutto contento, si fece un bel giro nel Mediterraneo prima di riconsegnare il prezioso ”giocattolo”. E rideva, mentre lo raccontava; e ridevamo noi ragazzi ad ascoltarlo, senza che nessuno di noi minimamente si sognasse di prenderlo per scemo: perché, in fondo, ci voleva proprio una bella dose di fantasia, per inventarsi una storia così! In fondo, ammiravamo in lui quella dote, che non era da tutti.
Viceversa, amo di meno le bufale costruite ad arte per carpire la buona fede: perché sono costruite con malizia e subdola perfidia. Ed hanno sempre un fine nascosto, quasi mai facile da smascherare.
Le stesse tecniche usate per costruirle sono sofisticate: si mescola sapientemente qualche pizzico di verità a bugie inventate di sana pianta; tanto più queste bugie hanno affinità con il verosimile, tanto più le bufale acquistano capacità di penetrazione, si sedimentano nel comune pensare, e diventano difficili da individuare, sputtanare ed estirpare.
Come i confezionatori di fake news (ma quelli agiscono nell'ombra, perseguibili per legge), i bufalari più insidiosi sono spesso persone colte e puntano alla manipolazione delle ”mezze verità”: in questo senso, la galassia dei neobubb ( i neoborbonici, sparsi in mille rivoli, partiti e partitini) ne annovera a iosa.
Nella precedente puntata abbiamo accennato al loro guru di riferimento, ma ne esistono tanti altri.
Qualche esempio di ”mezza verità”, debitamente manipolata e trasformata in bufala invereconda?
Eccola: il mito del ”Mezzogiorno pre-unitario industrializzato” e, quindi, ricco.
Ricetta per costruirla (ovvero: come ti confeziono una notizia FALSA manipolando dati veri):
1) - Prendere la pagina XIII del ”Censimento del Regno d'Italia” del 1861 relativa agli ”Addetti all'industria” (la si trova anche su Google);
2) - Sommare i dati relativi a ”Provincie Napoletane” e ”Sicilia” (cioè l'ex Regno delle Due Sicilie, riquadri verdi): 10.083 + 18.903 + 1.179.499 + 386.874 = 1.595.359;
3) - Sommare i dati relativi a ”Regno” (cioè l'intera Italia, riquadri blu): 58.551 + 3.072.245 = 3.130.796;
4) - Rapportare i due dati: 1.595.359 : 3.130.796 = 0.50956 = 51%. Cioè: il 51% degli addetti all'industria risiedeva nell'ex RDS (ergo: esso era più industrializzato del resto d'Italia messo assieme!).
Così costruita, l'analisi lascerebbe di stucco anche i tantissimi meridionali che credono nell'Unità (che diamine: non vorremo discutere anche l'Istituto di Statistica, che non era composto da biechi reazionari filo-borbonici, ma da stimatissimi e fedelissimi funzionari del Nuovo Stato unitario?).
A smascherare, però, l'arcano, ci pensa una insignificante regoletta a corollario, rigidamente tenuta nascosta nei trionfalistici convivi in cui si levano, altissime, le grida contro ”i vincitori che scrivono la storia a loro esclusivo uso e consumo” (ed ad esclusivo danno dei ”vinti”):
5) - OMETTERE ACCURATAMENTE DI RIPORTARE LE MODALITA' DI RILEVAMENTO DATI (riquadro rosso), laddove si spiega che: ”Comparativamente più numerosa appare la popolazione manifatturiera nelle Provincie Napoletane e Sicule, NON GIA' […] CHE IVI LE INDUSTRIE ABBIANO RAGGIUNTO UN MAGGIORE INCREMENTO, ma perché, ESSENDO QUEGLI ABITANTI ACCENTRATI QUASI ESCLUSIVAMENTE NEI GROSSI CENTRI, BORGHI O CITTA', PER POCO CHE VI ESERCITINO QUALCHE ARTE O MESTIERE, VENNERO ANNOVERATI FRA GL'INDUSTRIALI”.
Cioè, nelle semi-vere (perché basate su dati reali) analisi degli inguaribili nostalgici nostrani, si spaccia disinvoltamente (e fraudolentemente) per ”addetti all'industria” la sterminata massa di artigiani che, specie a Napoli, tirava a campare, inventandosi, in mancanza d'altro, mestieri talora incredibilmente fantasiosi.
Ma, tanto, chi li va mai a leggere quei noiosi ed oscuri trafiletti esplicativi? Non certo la massa di scontenti che non vede l'ora di identificare un comodo nemico al di fuori di sé a cui poter accollare, altrettanto comodamente, quelle che furono senza ombra di dubbio alcuno colpe dei sanguinari tiranni del passato. Innalzando, al contempo, sugli altari, i furbissimi e spregiudicati gattopardi dell'oggi.