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Il re delle festività reggine: il petrale.

Sembra che l’avvento di Masterchef abbia segnato il solco temporale tra il tempo in cui il cibo era espressione della cultura e della storia di un popolo e quando i foodies si sono evoluti ed hanno ingrossato le loro fila trasformandosi da gruppo di gourmets frequentatori assidui di pluristellati, con la “Rossa” sul comodino in luogo della Bibbia, a esercito di gastromaniaci che, più che ricercare vecchi sapori e nuove combinazioni, hanno letteralmente “sventrato” la tradizione culinaria della penisola.  

Dopo averla finalmente trovata, la tradizione, i nostri certosini archeologi del gusto, si sono fatti tutti portatori di verità gastronomiche indiscutibili e, nell’ultimo lustro, di competizioni tra cacciatori di  “vere ricette” della nostra cucina ne abbiamo viste parecchie: centinaia di maniaci del cibo si sono sfidati all’ultimo goccio di olio extravergine d’oliva per difendere la propria unica vera ricetta della carbonara, esclusivamente fatta con guanciale, crocifiggendo chi, tornando esausto da una giornata di fatica, in mancanza del corretto salume, ci metteva la pancetta. Che dire poi delle inesauribili dissertazioni sul numero esatto di tuorli e uova intere per quattro porzioni? Segreti dissotterrati che forse pure la Carboneria disconosceva.

Molti saggi hanno scritto saggi e intavolato diatribe sul procedimento per realizzare la vera amatriciana, sulla ricetta originale del ragù e sull’unico sacrosanto modo di preparare il tiramisù: senza albumi, solo tuorli e con la panna, ma solo quella fresca, giusto chef?

Gastroesperti da ogni dove tentano di codificare l’incodificabile per definizione: la nostra tradizione; che poi traditio non vuol dire altro che consegna, consegna di un sapere, e in tal caso di un sapore, che una generazione prendeva, adattava e poi restituiva, migliorata, alla successiva.

Una ricetta tradizionale per famiglia, impossibile da cristallizzare nel tempo e trascrivere permanentemente su un foglio senza fare correzioni, aggiunte e cancellature. Così rappresentativa di un luogo e di un’epoca e così diversa di casa in casa da rendere un azzardo il solo suggerirvi un’unica ricetta. Ma a costo di sollevare polemiche nell’animo di qualche nonna o di qualche pasticcere che pesa i grammi di tradizione nelle ricette di Natale, ecco a voi una delle vere ricette dei Petrali, che delle feste della mia città sono l’emblema.

Già la loro struttura rappresenta un po’ il dono, la sorpresa: un fragrante involucro di frolla incarta un ripieno che è sintesi dei raccolti “conservati” dell’estate e dei frutti della stagione fredda.

La pasta frolla fatela con 150 grammi di burro (oppure strutto affinché i tradizionalisti non si offendano, oppure olio d’oliva, perché i salutisti non me ne vogliano) e altrettanto zucchero, due uova (ma badate che siano di vere galline reggine, le reggine del pollaio per intenderci) e unitevi mezzo chilo di farina 00, quindi profumate con zest di mandarino del vostro giardino calabrese bio a chilometro zero, stendete l’impasto e, con un coppapasta, ricavatene dei cerchi di 10 cm. Al centro metteteci il ripieno preparato il giorno prima: un mix di fichi secchi (300 gr) e uva passa (150 gr) che avrete reidratato con un bicchiere di vino cotto, un etto di noci e uno di mandorle tutto grossolanamente tritato, un paio di cucchiai di cacao amaro e un paio di miele, marmellata di arance in egual quantità e scorza di mandarino (sempre che la vostra “vera” ricetta non preveda la buccia di qualche altro agrume) e infine, per conferirgli il “sapore di Natale”, profumate con chiodi di garofano e cannella.

Per facilitarvi la piega, mettete i cerchietti di frolla per metà oltre il bordo del piano di lavoro e richiudeteli conferendogli la forma di mezzaluna. Una spennellata di tuorlo battuto e gli immancabili “riavulicchi”, i minuscoli confettini colorati, e via in forno a 180° per un quarto d’ora o finché non siano ben dorati.

C’è poi chi i petrali li preferisce rivestiti di glassa di zucchero o copertura fondente, perché la tradizione così vuole, e chi, per renderli golosi ai bambini, il ripieno lo fa con la più famosa delle creme alla nocciola, ma voi seguite pure i precetti del vostro quaderno delle ricette di famiglia o, se siete pigri, acquistateli in qualunque pasticceria di Reggio Calabria.

Sotto l’albero troverò critiche impacchettate e nella mia calza Babbo Natale metterà il carbone se non ho riportato la vera ricetta della sua tradizione?