Due strade divergevano in un bosco, ed io presi quella meno battuta. E questo ha fatto la differenza. Robert Frost, 1916
Werner Heisemberg, naturalmente. Il grande fisico delle particelle morto nel 1976. Con gruppo di appassionati del “cantico dei quanti” siamo andati al cimitero di Monaco di Baviera durante le feste per visitare la sua tomba.
Non la troviamo. Chiediamo al custode: “sarà sepolto da qualche parte”, ci ha risposto ironicamente. Già, presi in castagna come pivellini: il padre del “principio di indeterminazione” non poteva essere sepolto in un posto preciso, perché Ϭˣ Ϭʸ ≥ h/4л.Questa semplice formuletta-con “h” costante di Plank- significa che posizione e velocità non sono identificabili nello stesso “istante temporale” con precisione assoluta, perché tra le due “deviazioni” Ϭˣ Ϭʸ vale la relazione di proporzionalità inversa.
Non cambiate pagina perché non parlerò più di matematica. Vi dirò anzi che la situazione in cui ci siamo trovati nel cimitero di Monaco mi ricordava la scena finale del western “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”: il Brutto, El Tuco, corre velocemente per identificare la tomba dove sono nascosti i dollari in oro, ma non la trova, perché è “unknown”, senza nome. Però ci è andato vicino con la “probabilità” che fosse quella di Archie Stanton, il nome pronunciato dal soldato morente che gli ha svelato il segreto: ma era solo vicina a quella che cercava.
Infatti la teoria dei quanti dice proprio questo: sarà difficile conoscere la posizione di un elettrone in modo determinato; possiamo solo calcolare la “probabilità” che si possa trovare in un posto e in un altro.
Alla fine una lapide di Heisemberg con il suo nome l’abbiamo vista, ma egli stesso aveva fatto scrivere:” non sono sicuro di essere sepolto qui”.
Grazie caro Werner per averci ricordato il “principio di indeterminazione” delle particelle fino all’ultimo; ma grazie a Dio( dove, quando, perché?) l’indeterminazione è la fonte primaria della vita dell’uomo, diretta sempre verso la ricerca di un “altrove”.Se fosse tutto “determinato” la vita avrebbe un senso compiuto che non si addice con la morte, con la quale il “Principio” assume il massimo delle probabilità di “essere E non essere”. Certo: la morte è un finale determinato per tutti. Ma dopo?
Che cos’è l’uomo, questo vantato semidio? E non gli vengono meno le forze, là dove appunto gli sono più necessarie? E quand’egli si gonfia nella gioia, o affonda nel dolore, non si sente egli ricondotto alla fredda, inesorabile coscienza di sé medesimo, mentr’egli anela a smarrirsi negli spazi dell’infinito? (I dolori del giovine Werther)