leaf 1202592 640

La Calabria meridionale una scacchiera di vigneti che vede vitigni autoctoni alternarsi a quelli internazionali.

Tenuta Criserà. Ad accogliermi c’è Francesco, appena tornato dal ProWein di Düsseldorf, dove avrà fatto assaggiare le prelibatezze vinicole del nostro territorio al popolo teutonico e avrà riavvicinato, almeno coi sapori, le comunità calabresi che ormai vivono in Germania da anni, alla terra che loro o i loro genitori hanno lasciato. È così che la Calabria conquista nuovi avamposti nello sterminato mercato vinicolo internazionale: facendo breccia nei cuori di chi a questa terra in qualche modo appartiene e quei cuori avranno palpitato davvero alla vista delle denominazioni riportate sulle raffinate etichette dei vini: Costaviola, Pellaro, Arghillà, Scilla, Stretto. Quante emozioni avranno suscitato questi vini sui calabresi californiani o su quelli canadesi o quelli che adesso vivono in Brasile? E saranno loro i primi promotori delle bellezze e dei profumi della nostra terra ovunque si trovino.

Ma se lo volete gustare davvero il profumo di Calabria vi toccherà immergere il naso in un bicchiere di Armacia, un piccolo miracolo del nostro sud: un connubio di vitigni, il lavoro sinergico di sessantasei viticoltori, tutti quelli della Enopolis Costa Viola, cooperativa vitivinicola che dosa sapientemente Nerello Calabrese, Malvasia, Gaglioppo e Prunesta, miracolo imbottigliato nelle cantine Criserà e che è valso per ben tre anni la medaglia d’oro al concorso del Cervim che premia la viticoltura eroica, quella dei “vini estremi”, delle viti ancorate dalle armacie ai crinali scoscesi delle nostre coste che in estate verdeggiano di filari prima di gettarsi in mare. Sono le vigne di “eroi” come Don Peppino che sui crinali di Solano ci ha passato la vita e che tra quei filari c’è praticamente nato: lui ama raccontare di quando la madre lo portava nel vigneto ancora in fasce, trasportandolo in un sacco, e quella vigna il corpo di don Peppino l’ha segnato, ma un vigneron, anche se curvato da decenni di lavoro a curarne i tralci, la sua vigna non l’abbandona.

Eroi come lui sono tutt’oggi tanti viticoltori che la natura della nostra Calabria meridionale costringe ad una cura quasi totalmente manuale delle viti e di eroine calabresi i filari di Bagnara, Scilla, Palmi, Seminara e Solano ne avranno viste tante passare, con gli enormi sparrazzi (i cesti in legno) colmi di grappoli e pesanti fino a cinquanta chili, tenuti in capo senza neppure usare le mani, con un equilibrio da far invidia ad un circense.

Quei crinali impervi dove la vite è radicata e questo certosino lavoro manuale rendono i costi del nostro vino assai più consistenti di quelli fatti con le uve delle dolci colline e delle distese di vitigni pianeggianti. Una terra assai eterogenea quella della nostra Calabria, sa cambiare da scoscesa a collinare, a variegare ci hanno pensato cambiamenti climatici e terremoti e a domarne la vocazione vinicola ci hanno pensato i sapienti vignerons che hanno saputo maritare ad ogni terreno la sua cultivar, rendendo la Calabria meridionale una scacchiera di vigneti che vede vitigni autoctoni alternarsi a quelli internazionali.

È una scommessa quella dei viticoltori calabresi, viticoltori eroi, che non scelgono certo la via più facile e perseverano nel ricorrere a tecniche di vinificazione tradizionale e metodi di raccolta ancestrali e nell’impiantare varietà autoctone che sanno differenziare il loro vino da quello del resto del mondo e farne davvero un vino per appassionati intenditori.