CASO MORRA. Storia della Commissione antimafia che in 60 anni non ha cancellato le cosche

CASO MORRA. Storia della Commissione antimafia che in 60 anni non ha cancellato le cosche

caso morra

Salvini: “I parlamentari della Lega e di tutto il Cdx non parteciperanno più ai lavori della Commissione antimafia fino a quando ci sarà Morra come presidente”. Condivide la on. Gelmini di Fi. Non si sa come si orienterà la minoranza della Commissione che, al contrario di Lega, Fi, FdI e 5s non ha votato come presidente il 5s Nicola Morra. In ogni caso il destino dell’Antimafia di Morra sembra segnato.

Che il dibattito abbia preso questa piega non è una buona notizia.

Si sarebbe potuto approfittare dell’occasione per una riflessione più ponderata e per cancellare una struttura che (a dir poco) da moltissimi anni non produce più alcun contributo nella lotta contro le mafie (ma fior di studiosi contestano lo abbia mai fatto) limitandosi ad audizioni di magistrati e vertici delle forze dell’ordine. Una struttura che deve ormai difendersi dall’accusa di essere una enclave parlamentare per parcheggiare politici ingombranti ai quali è necessario dare adeguata collocazione in attesa della scomparsa dal palcoscenico della politica.

Ma procediamo con ordine. Il quattordici novembre del 2018 a Palazzo San Macuto si riunisce la Commissione per eleggere i propri organismi: presidente, vicepresidenti (due), segretari (due). Dalle elezioni del 4 marzo di quell’anno sono passati circa otto mesi durante i quali, per la verità, nessuno, tranne i parlamentari aspiranti a occupare qualche casella del vertice, ha sentito la mancanza della Commissione che venne creata la prima volta nel 1962. Sarebbe dovuta durare una legislatura ma era previsto potesse venire rieletta. Non automaticamente, ma con un nuovo atto legislativo. La rielezione non era obbligatoria. Accadeva nel 1962. I protagonisti del dibattito si chiamavano Taviani e Li Causi, nomi che i giovani confondono con di Giolitti e Franchetti. Del resto, sono passati quasi 60 anni che, a partire dalla rivoluzione industriale, sono un’eternità. Difficile pensare che Falcone quando spiegava che la mafia come tutti i fenomeni storici avrebbe avuto una fine pensasse a un periodo così lungo.

A San Macuto, il 14 novembre di due anni fa, si ritrovano 50 parlamentari (25 senatori e 25 deputati) per eleggere gli organi della Commissione. Ma i giochi sono già stati fatti. La tradizione mai violata è che tutte le componenti parlamentari siano coinvolte nella direzione della Commissione. Ma ora si cambia. C’è un organico accordo politico tra il Cdx (Fi, FdI e Lega Nord) e M5s, che escludono tutte le altre componenti politiche. E’ evidente che s’indeboliranno immagine e ruolo dell’Antimafia. Ma questo non importa a nessuno. Non perché ci sia una sottovalutazione della lotta contro le mafie. Ma perché tutti sanno che lotta alle mafie e Commissione antimafia hanno scarsi punti in comune. L’intero bottino dei posti viene spartito tra il Cdx e i 5s.

I maggiori beneficiari saranno Nicola Morra (presidente, 5s ligure ma eletto in Calabria dove insegna filosofia) e Jole Santelli (vicepresidente, Fi e calabrese doc). Un altro vicepresidente andrà alla Lega Nord con Pasquale Pepe. Coi due segretari verranno accontentati i FdI con  Wanda Ferro (altra calabrese doc), e ingrosserà il bottino la Lega Nord con Gianni Tonelli. Bocciato il senatore Pietro Grasso che raccoglie per la presidenza 13 voti (Pd, LeU). Curiosamente, nella discussione innescata nei giorni scorsi dalle dichiarazioni a dir poco imbarazzanti di Morra sulla Santelli nessun giornale ha ricordato che lui e la Santelli hanno lavorato gomito a gomito nell’antimafia; né è stato ricordato, a propositi dei calabresi che hanno i parlamentari che si meritano, che tra questi c’è anche lo stesso Nicola Morra. Insomma, il senatore insultando i calabresi s’è insultato da solo.

Torniamo al 14 novembre 2018. E’ lampante che c’è stato un accordo politico organico per una maggioranza tra il M5s e il Cdx. Quindi, Morra ha votato la Santelli e la Santelli ha votato Morra. Dopo la votazione le sinistre diffonderanno un comunicato per denunciare la rottura unitaria della gestione della Commissione, per la prima volta dopo quasi 60 anni, ma non gliene fregherà niente a nessuno. A fonte dei 13 voti di Grasso, Morra ne accumulerà 30, cioè il 60%, percentuale che più o meno coincide con lo schieramento 5s, Lega, Fi, FdI. Insomma, quando (ora non allora) Salvini dice che Morra è "cretino" dovrebbe aggiungere che è stato lui, il capopartito più forte del Cdx, a spianargli la strada nel posto in cui è.

C’è un altro dato che racconta la scarsa importanza politica della Commissione: su 5 componenti della sua direzione, tre sono occupati da parlamentari eletti in Calabria: Morra, Santelli, Ferro. Difficile credere che in Calabria si trovi il 60% delle migliori forze parlamentari antimafia e non invece che i parlamentari siano convinti che non sia poi così importante farne parte: prevalgono i calabresi perché la Calabria, e quidi loro, è una regione politicamente debole.

I tre ultimi presidenti della Commissione Antimafia sono stati: Beppe Pisanu (sardo, con un vice eletto in Calabria), stella ormai cadente di Fi per la sua gestione delle elezioni del 2006. Dopo Pisanu ci sarà Rosy Bindi: Matteo Renzi le ha dichiarato guerra e l’ha bandita dalla Toscana, ma la Bindi riesce a farsi eleggere in Calabria. Renzi pone un veto sulla sua partecipazione al Governo e la Bindi dovrà accontentarsi della presidenza dell’Antimafia. Poi arriva Nicola Morra (Calabria) con chiacchiere alle spalle: è diffusissima la voce che voglia fare il ministro della scuola: dal M5s lo silurano rifilandogli l’Antimafia.

Da ricordare che, intanto, accanto alle polemiche di queste ore ne cresce un’altra sul mondo misterioso e sommerso dell’Antimafia: quanti sono i suoi consulenti? Chi li decide? Sulla base di quali criteri? Osservando quali leggi e regolamenti? Come vengono ripartiti? Quanto guadagnano e di quali benefici usufruiscono?

Ma il problema non è solo quello delle ultime 3 presidenze e della Commissione usata dai partiti (tutti) come parcheggio per privilegiati caduti in bassa fortuna politica. Quasi 30 anni fa, Dario Gambetta, uno dei più acuti analisti delle mafie del Novecento, firmando da Oxford una nuova introduzione al suo La Mafia siciliana (Einaudi 1992, traduzione dall’inglese di Severi e Gambetta), sulla Commissione antimafia annotava: “Si ha l’impressione che questo istituto – di cui pure fecero parte Cesare Terranova e Pio La Torre, che hanno pagato con la vita la lotta alla mafia – sia servito come una palestra in cui  le forze di governo permettevano all’opposizione di sinistra di menare pugni antimafia purchè rigorosamente nel vuoto”. Da allora sono passati quasi altri 30 anni. Forse bisognerebbe approfittare del caso Morra per una decisione più radicale rispetto alle sue (inevitabili) dimissioni.

*già apparso sul Riformista del 25 novembre 2020.