NDRANGHETA. Il Pm contro l’assoluzione di Macrì, ex presidente del Consiglio C. di Siderno

NDRANGHETA. Il Pm contro l’assoluzione di Macrì, ex presidente del Consiglio C. di Siderno
AntonioMacrì  Per la Dda, l’ex presidente del Consiglio comunale di Siderno, Antonio Macrì, non andava assolto. È per questo motivo che il sostituto procuratore Antonio De Bernardo ha presentato appello contro la sentenza emessa dal gup Domenico Santoro lo scorso 20 gennaio, nel troncone abbreviato del processo “Morsa sugli appalti”, quando, oltre al politico, vennero assolti da ogni accusa anche Salvatore Aquino, Antonio Filippone, Antonio Commisso, Domenico Papandrea, Ilario Iacopetta, Mario Giorgio Iacopetta, Daniele Cosimo Tassone e Marco Tassone, accusati di associazione mafiosa e che ora il magistrato vuole riportare davanti ad un giudice. Un’operazione imponente, quella dell’antimafia dello stretto, che a fine 2014 aveva squarciato il velo sul giogo imposto dalla cosca Commisso, che aveva allungato i propri tentacoli sul delicato settore degli appalti pubblici.

Per il pm, Macrì «contribuisce al rafforzamento dell’organizzazione, favorendo l’infiltrazione mafiosa della politica locale, concordando con i vertici del sodalizio le principali scelte politiche - si legge -, riconoscendo alla cosca il diritto di essere previamente informata delle sue iniziative più rilevanti, di autorizzare la propria candidatura in occasione di competizioni elettorali, di indirizzare la sua azione politica nel senso voluto dall’organizzazione».

Un assunto non condiviso dal gup, che aveva invece considerato il rapporto tra Macrì e i Commisso come timore reverenziale del primo nei confronti dei secondi. Il conto servito da Santoro, che ha dispensato quasi due secoli di carcere, non ha totalmente soddisfatto la procura antimafia, che ora vuole ribadire alcuni concetti. In particolare sul ruolo del politico, che per il gup non può dirsi oltre ogni ragionevole dubbio intraneo al clan. Anzi, richiamandosi alla decisione del Tdl, che aveva accolto l’istanza di scarcerazione presentata dai legali di Macrì, il giudice evidenzia come non fosse stata negata «la sussistenza di rapporti di vicinanza e di vera e propria frequentazione dell’indagato con alcuni membri del gruppo», né sarebbe stato escluso che Macrì «si trovasse in uno stato di autentica soggezione nei confronti della cosca».

Tali elementi, però, non sarebbero sufficienti «a far emergere quello stabile inserimento all’interno dell’associazione mafiosa». La decisione di Macrì di non candidarsi alle regionali 2010, così come desiderato dal boss Giuseppe Commisso, dunque, sarebbe da considerare mera «sudditanza psicologica». Il politico, continua il gup, non sarebbe, come invece ritiene il pm, «referente politico-amministrativo del clan Commisso».

Dunque, i rapporti di Macrì con esponenti del clan e gli incontri con gli stessi sarebbero «espressione più del retroterra culturale e del naturale timore verso personaggi di spicco del panorama criminale locale che non di un’autentica condotta partecipativa alle finalità illecite dell’organizzazione mafiosa». Nonostante, scrive lo stesso giudice, Macrì sia «intimamente legata ai Commisso». Insomma: paura, nulla più. Le scelte dell’ex presidente del Consiglio sarebbero dettate, al più, dai Commisso «in un’ottica di loro supremazia» e non da una relazione di dipendenza.

La Dda, però, non ci sta: la decisione del gup ricalca quella del Tdl, pur mettendola, talvolta, in difficoltà, in virtù di quel rapporto tra Macrì e Commisso «a cavallo della soglia del penalmente rilevante». La mancata candidatura di Macrì alle regionali del 2010, che per i giudici del Tdl contrastava con la tesi dell’accusa, è per quest’ultima proprio uno degli elementi più significativi, vista la scelta della cosca di appoggiare Cosimo Cherubino, «in grado di catalizzare un maggior numero di voti». Le scelte politiche di Macrì, sostiene infatti la procura, «sono concordate con i vertici dell’associazione criminale e si sposano perfettamente con gli interessi dell’organizzazione».

Nel suo appello, il pm evidenzia una serie di passaggi significativi che portano dalla richiesta, nel 2009, del permesso di potersi candidare alle regionali, formulata da Macrì al “mastro” Giuseppe Commisso, al ripensamento del boss, che, poco a poco, convince Macrì a rinunciare, spingendolo a sostenere la candidatura di Cherubino. Scelta, aggiunge il pm, che non può spiegarsi semplicemente con la presunta «sudditanza» di Macrì al volere dei Commisso, come se, in ogni caso, la sudditanza non fosse comunque un elemento tipico del rapporto «tra soggetti apicali dell’organizzazione e partecipi in posizione subalterna».

Stessa analisi per quanto riguarda il ruolo svolto da Macrì nella caduta della giunta guidata dall’allora sindaco Alessandro Figliomeni, considerato intraneo alla cosca fino al 2009 – condannato per due gradi di giudizio nel processo “Recupero – Bene Comune” - e poi “allontanato” a causa di frizioni interne. «È evidente – si legge nell’appello – che la scelta politica del Macrì Antonio di provocare la caduta della giunta Figliomeni (…) è senz’altro gradita al nucleo centrale del sodalizio, capeggiato da Commisso Giuseppe classe ‘47». La scelta di far cadere Figliomeni non è però gradita ad un altro ramo della famiglia Commisso, quello facente capo ad Antonio Commisso classe ’25, alias “u quagghjia”, tanto che la mancata comunicazione della posizione assunta da Macrì viene vissuta dallo stesso come una «trascuranza».

Elementi, questi, che portano il pm a sottolineare «gli obblighi di comunicazione nei confronti del boss Commisso Antonio» da parte di Macrì «riguardo alle proprie scelte politiche e che tali obblighi siano da mettere in relazione al sostegno elettorale già ricevuto in passato e che viene ora messo in discussione, a seguito della violazione di tali obblighi». Obblighi di cui Macrì, sostiene ancora De Bernardo, sarebbe «pienamente consapevole», tanto da indurlo ad affermare «di averli sempre rispettati», ammettendo l’errore commesso nei confronti di Antonio Commisso, col quale «ci siamo divisi il sonno da vent’anni».