Calabresi: dal sangue dei terroni (Brigata Catanzaro, 1917) alla paura di vivere

Calabresi: dal sangue dei terroni (Brigata Catanzaro, 1917) alla paura di vivere
brigCZ    Cento anni fa la “Copertina della  Domenica” è stata dedicata all’eroismo dei giovani calabresi irreggimentati nella “Brigata Catanzaro”. Già nel 1917 dei “ragazzi” della “Catanzaro” circa la metà erano morti in guerra!

Nella primavera, il più autorevole settimanale italiano indicava i calabresi come di combattenti coraggiosi, capaci di andare all’assalto delle postazioni nemiche sfidando la morte. E’ evidente che ancora nell’opinione pubblica non era passata la vulgata dei calabresi “criminali”, mafiosi, indolenti e meschini. Anzi, nella letteratura nazionale, i calabresi erano descritti come lavoratori tenaci, combattenti coraggiosi (sia pur briganti), abituati ad una esistenza spartana ed essenziale.

Ed infatti dei seimila fanti della brigata Catanzaro, più volti decorati in battaglia, i più morirono sotto il fuoco delle mitraglie “nemiche”, altri nelle trincee dove nei mesi piovosi l’acqua era alta un metro; altri ancora per i patimenti, i pidocchi, il tifo , la dissenteria e la fame. Ma ci fu un momento in cui i “nostri” poveri fanti si rifiutarono di essere trattati come bestie.  Successe il  15 luglio 1917, la brigata Catanzaro era di stanza a Santa Maria La Longa  per un periodo di riposo dopo 40 giorni passati in prima linea sul fronte del Carso. Il periodo di riposo di cui la brigata avrebbe dovuto godere venne anticipatamente  interrotto ed  i soldati, già  provati dalla durezza degli scontri, ricevettero l’ordine di tornare in prima linea. Un ordine che era un invito al suicidio collettivo tanto da indurre molti di loro a ribellarsi. Fu una rivolta disperata, ingenua e senza speranza! La mattina dopo, 28 soldati, di cui 12 sorteggiati all'interno della 6ª compagnia del 142°, furono allineati presso il muro del cimitero del Paese e fucilati alla schiena. Gli ultimi superstiti furono sbattuti in prima linea, sotto scorta armata venendo puniti durante il viaggio con altre 10 fucilazioni sommarie.

I fucilati non furono sepolti ma scaraventati in una foiba.

Ho ripensato alla storia della brigata Catanzaro, leggendo il bel libro del piemontese Lorenzo  Del Boca “ Il sangue dei terroni”  e sono sempre più convinto che noi dovremmo avere  il diritto alla verità ed alla conoscenza che ci è stato sempre negato. Afferma Del Boca : “Figli del Meridione… lavarono con il loro sangue le pietraie del Carso ed i dirupi dell’Altopiano…. Si sacrificarono  per gli interessi di quelle élite economiche che sfruttavano la loro terra, succhiandone le energie e rapinandone le risorse, e per il tornaconto di una classe politica che li trattava con ferocia e disprezzo…. Vennero massacrati sull’Isonzo e a Caporetto, combatterono con disperazione e con valore su Piave, lanciati da ufficiali balordi e criminali contro un nemico che non conoscevano e che non avevano motivo di odiare. Conobbero la paura e la morte, l’eroismo. Erano i nostri nonni, i nonni del nostro Sud. L’esercito dei terroni!”

Oggi i terroni sono stati degradati a criminali. Così, gli eredi - in linea storica- di quei “fanti” in maggioranza continuano a partire sia pur senza voglia oppure sono costretti a dibattersi nella disoccupazione permanente, sempre in bilico tra criminalità e rassegnazione. Gli eredi delle élite che hanno mandato i nostri “nonni” al massacro sono ancora saldamente al potere ed  hanno bisogno di indicarci un “nemico”. E noi cadiamo nel loro gioco come sempre. Ieri ci indicavano come nemici i perfidi “austriaci” anche se i nemici veri erano alle spalle dei nostri soldati.

Concludo con un episodio che apparentemente non c’entra nulla con le cose che abbiamo finora detto. Nei giorni scorsi una ragazza di Reggio, Maria Rita, si è suicidata. Il padre è in carcere per ndrangheta. Su questo dramma si sono scritte tante cose, alcune molto belle, altre inopportune ai limiti dell’oltraggio. Personalmente mi inchino dinanzi al dolore straziante ed irredimibile dei familiari della ragazza, astenendomi dall’attribuire a qualcuno le responsabilità della sua morte. Molti dovrebbero però evitare scontate frasi di circostanza e riflettere sul clima che s’è creato in Calabria forse al di là della volontà di tutti.

Ovviamente non conosco i motivi che hanno spinto la ragazza al suicidio, mi limito a farmi una domanda: se invece di uccidersi, quel maledetto giorno Maria Rita si fosse sposata, quanto di noi - se invitati- avrebbero avuto il coraggio di andare al suo matrimonio? Quanti avrebbero avuto il coraggio di farsi fotografare in Sua compagnia? Quante “persone perbene” Le avrebbero stretto la mano o baciata sulle guance?

Conosco persone incensurate che sono finite in rapporti di polizia per molto meno. Se fosse vero quanto hanno scritto alcuni giornali e cioè che Maria Rita avesse un forte travaglio interiore per esser considerata “una donna di mafia” invece che una ragazza all’alba della propria vita, molti di noi dovrebbero rispondere alla propria coscienza.

Sta per esser pubblicato anche in Italia un libro di un anonimo scrittore nord-coreano. Il suo titolo è “L’accusa”. Narra delle vicende assurde che succedono in quel paese lontano dove il regime attribuisce ad ogni famiglia un numero in codice e tutti i membri della famiglia vengono ritenuti responsabili di ogni comportamento sia pur di timido dissenso. Il codice “194” viene attribuito “ai traditori della patria e del partito” e chi nasce in una di queste famiglie è già colpevole senza speranza di redenzione..! Colpevole solo per esser nato in una famiglia che non ha scelto, marchiati a sangue sin dalla nascita! Nel Nord Corea, il “regime” indica ancora il “nemico” e lo fa per coprire i propri orrendi delitti. In Italia siamo lontani da quella terribile realtà ma non immuni a quel virus.

C’è, nella nostra Regione, un clima di paura che si riverbera sul nostro territorio in mille modi. Paura della ndrangheta, paura dell’antindrangheta, dei potenti e dei burocrati. Paura di telefonare, di frequentare i bar, di andare ai funerali o ai matrimoni, di stringere la mano e di scherzare. Un clima di caccia alle streghe che diventa paura di “vivere” ed, ovviamente, dove c’è la paura muore la libertà, muore la democrazia e trionfa la tirannide.