L’ANALISI. Una parola al giorno per resistere in una Calabria strozzata dai ruoli

L’ANALISI. Una parola al giorno per resistere in una Calabria strozzata dai ruoli

Parole

Ena loghia tin imera, una parola al giorno. Ho un amico di parole, ha la testa dura quanto il marmo bianco dell’Aposcipo, con una parola al giorno ha imparato la lingua vera della nostra terra, il grecanico.

Giorni, mesi, anni, ora comprende la vita, perché la lingua e la coscienza sono uguali, si acquisiscono. Nessuno nasce mparatu. E ora, manda a me le parole che conosce, una al giorno. Implacabile. Figòmeno, (sost maschile, bandito latitante) è la prima che mi ha inviato, con una logica che è sua, e io non conosco.

Mi si è fissata in testa, la prima pietra di un basamento, e davvero io sono stato bandito dalla mia terra, e mi sono pure allontanato e se considero figomèno aggettivo (con uscita in o mas e neutro con uscita in i femm) divento: rapito.

La seconda parola è Aspru, e ha cambiato totalmente il mio rapporto con la montagna: aspru è bianco, e l’Aspromonte si converte in montagna lucente da che è stata, per tanto tempo e per i più, aspra.

Ecco, le parole cambiano il senso della vita, lo portano sul sentiero della verità. E a dire il vero io ho parecchi amici di parole: di quelli che hanno fatto cose terribili e di quelli che esercitano mestieri durissimi. Anche loro mi mandano parole, e più vorrei dimenticare la Calabria e più queste mi legano a essa.

E il guaio grande della nostra terra è il non avere parole giuste, ognuno parla a se stesso o ai suoi. Invece tutti hanno discorsi interessanti, solo che ognuno vive chiuso in un ruolo, e c’è chi non vuole lasciarlo, chi è impossibilitato a farlo e ci sono quelli a cui viene impedito un ruolo diverso.

Delle tre categorie, la più responsabile è la prima, che sia per bene o per male molti hanno un ruolo che non mollano, si oppongono a qualunque cambiamento, a chiunque scuota lo stagno, chiacchierano tanto ma sono completamente sordi, forse non sentono nemmeno le proprie di parole. Quello che in Calabria non si vuol capire è che anche chi vive nel giusto non può starci se non dialoga con gli altri, con chi soprattutto impara parole per migliorarsi.

La tendenza è ad annullare tutto il resto, i giusti veri, e soprattutto i finti, si impegnano a distruggere tutto ciò che gli sta intorno, stanno facendo della Calabria un deserto, convinti che le coscienze non mutano e le parole non s’imparano. La vita è tutto un quaderno da scrivere e si scrive con la mano di tutti, chi scrive meglio degli altri dovrebbe aiutare, non cacciare.

Invece da noi, un gruppo ristretto di scrittori s’è impossessato della penna e non la molla: convinti di realizzare un capolavoro, comporranno solo una patetica tragedia che servirà, ma solo temporaneamente, a loro stessi, non servirà ai calabresi che da figòmeni nutriranno una diaspora che conta le persone a decine di milioni. Qualunque ruolo noi abbiamo non ci impedisca di uscirne, per dare una mano a costruire: ena loghia tin imera.