IL SANGUE DI MELISSA SETTANTA ANNI DOPO

IL SANGUE DI MELISSA SETTANTA ANNI DOPO

melissa

Quando Lucio Dalla componeva canzoni impegnate con Paolo Roversi così cantava nel brano “Passato presente”:
«ll passato di tanti anni fa /
alla fine del quarantanove /
è il massacro del feudo Fragalà /
sulle terre del Barone Breviglieri /
Tre braccianti stroncati-col fuoco di moschetto/
in difesa della proprietà /
Sono fatti di ieri».

Fatti di ieri calabresi guardati con commozione in tutto il mondo. Treccani li rievocò nelle sue opere, il teatro militante celebrava i martiri in “Tutti a Fragalà”, il Congresso mondiale della Pace a Roma organizzato dai comunisti a poche ore dal massacro ne consegna una dimensione internazionale.

Settanta anni fa, nel fondo Fragalà, a Melissa, il sangue di alcuni contadini calabresi uccisi dalla polizia era destinato ad entrare tragicamente nella storia d’Italia. In quel lontano ottobre, il movimento dei braccianti era tornato a marciare nelle terre del latifondo. I tentativi di riformare l’agricoltura meridionale da parte del ministro comunista calabrese, Fausto Gullo, erano stati svuotati dalla restaurazione democristiana. Il ricco proprietario terriero Antonio Segni, padre di Mariotto, successore di Gullo al ministero, si era adoperato per rendere vani ed inutili i famosi decreti del ministro dei contadini.

Gli storici sostengono che nell’ottobre del ‘49, i dirigenti comunisti calabresi (Mario Alicata era il responsabile della federazione regionale) erano riluttanti ad incentivare lotte troppo illegali. Ma le condizioni di miseria dei contadini, in quel periodo base maggioritaria del consenso del Pci e Psi calabrese, spingevano sul terreno della lotta dura.

Pochi giorni prima della strage di Melissa, una mobilitazione di quattordicimila contadini delle province di Cosenza e Catanzaro aveva superato ogni aspettativa. Interi paesi del Crotonese e della Sila erano scesi in corteo verso i campi abbandonati del latifondo. A piedi e a dorso dei muli, sventolando le bandiere rosse e quelle tricolori, con mogli e figli scesero al piano. Occuparono la terra, segnando nuovi confini, dividendola in parti uguali. Iniziarono a preparare la semina. Molti di loro non avevano mai letto un libro, ma praticavano un sentito bisogno di socialismo.

Gli agrari calabresi erano molto preoccupati. Alcuni tra i più influenti erano parlamentari democristiani. A Roma, in quelle convulse giornate, gli onorevoli calabresi della Dc incontrano Mario Scelba, ministro dell’Interno, e chiedono la mano dura. Il ministro della polizia non si lascia pregare.

Il 28 ottobre del 1949, gli agenti della Celere arrivano a Melissa, a pochi chilometri da Crotone. Il latifondista del luogo, il barone Berlingieri, è ben lieto di ospitare per la notte il battaglione nella sua casa padronale. Il fondo Fragalà era occupato da giorni. Erano ettari di terra che un decreto napoleonico del 1811 aveva assegnato al Comune. Ma i baroni non sempre rispettavano la legge, e con il tempo la terra era stata usurpata dai Berlingieri. In seguito ai decreti Gullo, i contadini si erano riappropriati del fondo. “Berlingieri, riconoscendo in parte la validità della loro pretesa, aveva offerto a titolo di transazione un terzo della proprietà, ma essi l’avevano rifiutata”.

La mattina del 29 ottobre, il battaglione della Celere muove verso Fragalà. I contadini non hanno intenzione di muoversi. Si sentono tre squilli di tromba. La polizia avanza con i fucili, la gran parte della massa scappa impaurita. I graduati ordinano di sparare. Tre persone cadono nel campo di Fragalà, vigliaccamente colpiti alle spalle. Giovanni Zito ha soltanto 15 anni. Disperato il tentativo si salvare Angelina Mauro, che muore in ospedale. Francesco Nigro, 29 anni, è il terzo martire della sanguinaria giornata di Melissa. Francesco Nigro è il segretario della locale sezione del Movimento Sociale Italiano. La lotta era stata di tutti i contadini a prescindere dal loro credo politico. L’organizzazione politica di sinistra nel corso del tempo farà sparire questo dato reale. L’Msi nazionale non ha mai voluto rivendicare la presenza a differenza di alcuni storici di destra, che addirittura esagerando definiscono Nigro il capo della protesta. A Melissa fu una lotta di poveri. Nei manifesti celebrativi di quei giorni la giovane vittima Zito non compare in effige, a differenza degli altri due martiri, perché non aveva mai avuto il denaro per scattarsi una fotografia.

A Melissa altri 15 contadini sono feriti, 6 gli arrestati. La violenza della polizia di Scelba fu gratuita ed efferata. L’eccidio scuote l’opinione pubblica nazionale. Le versioni ufficiali cercano di occultare la verità con la collaborazione dei giornali del centro destra. Per la sinistra invece i colpi mortali di Melissa suonano come un campanello d’allarme per la giovane democrazia italiana. Il socialista Pietro Mancini tiene un celebre discorso in Senato dopo l’eccidio e la sua magnifica oratoria fotografa l’emarginazione economica calabrese e la povertà estrema dei contadini di Melissa che non hanno neanche scarpe ai piedi.

I principali quotidiani nazionali spediscono in Calabria i loro inviati per comprendere quello che è accaduto. Grandi firme scoprono una Calabria con proprietari arroganti e contadini poverissimi. Vittorio Gorresio sulla Stampa raccoglie le dichiarazioni dello storico Mandalari che racconta quello che ha appreso dagli archivi. In provincia di Cosenza mezzo milione di ettari di terra dovevano appartenere ai contadini.

Il sangue di Melissa accende un grande movimento popolare in tutto il sud. Nei successivi mesi che seguono quel 29 ottobre, vengono uccisi altri 9 contadini, decine i feriti, migliaia gli arrestati. Il governo De Gasperi è costretto in poche settimane a presentare un primo provvedimento di riforma agraria, che riguarda direttamente la Calabria. Gullo che con i suoi decreti aveva tentato di risolvere i problemi del latifondo, dirà che con l’eccidio di Melissa i contadini calabresi avevano dato un contributo a caro prezzo per una svolta politica italiana. Secondo lo storico Paul Ginsborg invece “la riforma per i contadini fu un’amarissima delusione”. Inizia infatti da allora una nuova ondata di emigrazione che spopola le campagne calabresi. Melissa resta comunque un luogo della memoria storica. Per anni la Calabria ha ricordato quei morti. Sono ben lieto che il presidente della Regione per i sessant’anni dell’eccidio ha organizzato a Melissa una manifestazione invitando il segretario nazionale della Cgil Landini.  Su quelle terre che avevano visto il dominio dei Ruffo, dei Morano, dei Campitelli, dei Pignatelli Strangoli e dei Berlingieri   sono apparsi nuovi protagonisti. Per i braccianti è finito il tempo del “vussuria” e della coppola in mano. Non avranno conquistato la terra, ma sicuramente la loro dignità. E la Storia ancora prende per mano la cronaca.

Il 12 gennaio di quest’anno, all’alba la popolazione di Torre Melissa si accorge che una nave di profughi curdi rischia di affondare. Nell’epoca dell’odio ci si butta a mare per salvare vite, dalla case arrivano coperte e giubbotti per soccorrere. I figli dei martiri del Latifondo hanno riconosciuto i loro fratelli dell’epoca nuova. E la Storia continua…