Daniela Grandinetti, scrittrice lametina, famelica lettrice e appassionata narratrice, racconta una storia seguendo istintivamente le Lezioni Americane di Calvino. La drammaticità sulla soglia della disperazione della vicenda è narrata senza alcuna concessione agli orpelli e ai narcisismi o alle furberie del populismo sentimentale così in voga. La velocità sfronda tutte le storie a margine, che sarebbero così tante da colmare volumi, lasciandole alla curiosità del lettore, e così facendo evidenzia il nocciolo caldo (rovente) della questione, quel rapporto tra il privato e il politico che ha infiammato la dialettica degli anni 60 e 70.
Sin dal titolo, parafrasato da un film importante di quegli anni (I Pugni in tasca, di Marco Bellocchio), la Grandinetti utilizza il sapere come indicatore di direzione, usandolo con grazia impercettibile ma guidando il lettore attraverso il contesto.
La protagonista parte dalla situazione di provincia estrema del calderone italiano del boom economico, e attraverso una serie di consapevolezze giunge al delirio della lotta armata rinunciando ad altri desideri, per quanto importanti, sacrificando gran parte dell’esistenza sull’altare di una utopia crudele e beffardamente autentica.
Attorno a lei e al suo vano tentativo di conciliare eros e logos si muovono figure pulsanti umanità, i parenti e l’amico del cuore che chiama a rinforzo Scott Fitzgerald e prova, inutilmente, a coinvolgerla nell’arte del Teatro, un metateatro inserito dentro una rappresentazione ben più complessa e drammatica: lo scontro politico degli anni ’70, gli anni del piombo e del tritolo.
La vicenda emoziona e trascina. La scrittura semplice, lineare e moderna riserva ai colpi di scena l’intensità della commozione e del sobbalzo sulla sedia. Le citazioni degli eventi autentici si innestano nella trama con la potenza della verità; uno su tutti il “processo proletario” e l’omicidio della vigilatrice (Germana Stefanini nella realtà) del carcere di Rebibbia, e tutte le conseguenze che ne derivarono. Ma il culmine si raggiunge con un altro evento, che non svelerò, nel quale convergeranno tutte le energie, i misteri e le follie di quella stagione vibrante e che, brillantemente, Daniela Grandinetti ha usato come colpo di maglio per ridefinire la storia.
Alla fine, il libro lascia una traccia amara e una gravosa sensazione di impotenza di fronte alla vicenda umana che, nella particolarità del singolo, s’infrange contro il giganteggiare della storia e soprattutto del potere, che fa capolino con occhio di demone.
L’amore e il senso di giustizia ai due capi della bilancia mutano di peso con il passare degli anni. La sensazione cupa di una gioventù smarrita lascia il passo a quella, confortante, che nulla è realmente perduto per sempre perché nulla è importante per sempre. La possibilità di ricominciare da capo non è altro che speranza, identica a quella d’inizio storia, motore del mondo e di questo suo folle abitante, l’essere umano, con le sue contraddizioni, i suoi errori e le sue volontà sublimi, così abilmente descritte dalla penna di Daniela Grandinetti.
Antonio Calabrò
Le mani in tasca, Daniela Grandinetti, Augh Edizioni