Il nome Stanley io l’ho sempre associato a Kubrick. Con Tucci, invece, ho più problemi: l’accoppiata anglo-italmeridionale mi suona male, come per James Senese ed altri.
Ma prendo atto di come questo artista, statunitense con radici nelle Serre calabresi, ultimamente vada a caccia per la CNN della buona cucina italiana, onde consigliare opportunamente i turisti. E questa è cosa buona e giusta!
Ma chi può sostenere che costoro siano dei missionari? O dei filantropi? Se essi sono “very british”, o “deutsch”, oppure “born in the U.S.A.” saranno fissati col massimo della qualità al prezzo più basso, però anche gli altri non scherzano, eh!
Chi si occupa di consigliarli li deve assecondare, fornendo loro un’immagine patinata o, viceversa, molto primitiva di luoghi e persone che beneficeranno della loro presenza. Insomma, il turista ama sentirsi inferiore ai Windsor o al principe di Montecarlo, ma superiore a tutti i contadini, pescatori, camerieri e bagnini dell’intero globo terracqueo. Alla pari, mai! Altrimenti, magari, non han più voglia di tornare a casa, al lavoro, al traffico, allo smog…
Ora il signor Tucci, in arte Stanley, deve fare un po’ il cerchiobottista, no?
Non può certo illuminare il turismo “mordi e fuggi” sul fatto che la qualità degli ingredienti, la pazienza nella preparazione del cibo e la convivialità siano elementi di un alto livello culturale, peraltro sempre più minacciati dalla cultura (?) del “fast food”.
E nemmeno può rivelare che una certa Calabria sia riuscita a conservarsi come un piccolo paradiso terrestre, sfuggendo quasi per miracolo al “logorìo della vita moderna”.
Poi, certo, dirne male è brutto ma, al di là dei motivi che lo hanno spinto a fare certe affermazioni, siamo davvero sicuri di essere tutti innocenti come tanti agnellini? Il signore in questione commette una grave scorrettezza nel giudicare in modo superficiale, bollando un’intera regione come dannata, ma la ‘ndrangheta è una sua invenzione, o esiste davvero e condiziona perfino il respiro di tanta gente?
E noi, calabresi colti, illuminati e sensibili, perché siamo felici quando da fuori ci coprono di lodi sperticate e però ci inalberiamo se l’immagine di puro diamante viene scalfita da qualche critica - indipendentemente da dove venga mossa e perché?
Siamo abbastanza adulti, maturi, sicuri di noi, in modo da non dipendere dall’opinione altrui, o attendiamo ancora il benevolo sguardo dall’alto, come per secoli e secoli della nostra storia?
Ed il cancro di questa terra lo ignoriamo, facendolo scivolare sotto il tappeto, o ne prendiamo atto? Non per combatterlo (gli eroi, ormai, si sono arenati nei libri del passato e si dice che un certo procuratore sia solo un esibizionista!) ma almeno per tacere. Semplicemente tacere e basta.
I calabresi non sono tutti mafiosi - a voler scherzare, potremmo dire: semmai i siciliani! - ma la ‘ndrangheta esiste e (non) lotta insieme a noi. Punto.
Queste sterili polemiche lasciano il tempo che trovano ed annoiano pure.
Che senso ha fare i permalosi per 24-48 ore e poi riprendere col “business as usual”?
Se desideriamo davvero emanciparci, riconoscendo di essere cittadini di “ceppo alvariano” - con le radici in Calabria, il tronco in Italia ed i rami in Europa e nel mondo - allora potremmo avviare una seria discussione su ogni aspetto della nostra terra. Analizzando. Valutando. Scegliendo. Rifiutando. Guardando indietro per preservare antichi valori ed in avanti per imparare a gestire in modo intelligente le grandi opportunità offerte dalla tecnica ma, soprattutto, dall’incontro - oggi finalmente possibile! - con usi, costumi, lingue e valori del mondo intero.
Si tratta di proteggere radici e di spiegare ali.
Di essere sinceri con noi stessi e quindi capaci di autocritica. Ma anche di apprezzare i nostri lati positivi, senza attendere che essi ci vengano certificati da fuori.
Abbiamo a disposizione più tempo e molti più strumenti dei nostri nonni. Usiamoli. Per parlare, discutere, magari anche per litigare. Ma sbrighiamoci a crescere. A crescere insieme. Come ebbe a dire un altro cittadino statunitense con le radici altrove, “Se non noi, chi? Se non ora, quando?”