Con il passare del tempo la trilogia principale del western italiano, cioè la trilogia del dollaro, è divenuta il cult per eccellenza. Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono, il brutto, il cattivo (1966), sono concorrenti temibili per tutto il western classico americano. Stessa ventura non hanno avuto i polizieschi italiani, è dovuto arrivare Quentin Tarantino per farci riscoprire un genere tutto
italiano: il poliziottesco.
Appartengono al genere in tutte le sue varianti più di 200 film, e non è facile suggerirne uno. Si potrebbe iniziare dalla trilogia del commissario Betti, interpretato da Maurizio Merli, costituita dai film: Roma violenta (1975), Napoli violenta (1976) e Italia a mano armata (1976). Napoli violenta, con la regia di Umberto Lenzi, si contraddistinse per un incasso al botteghino di oltre 60 milioni di lire nel primo weekend, record dell’anno. Si potrebbe scegliere, ma è un vincere facile, “Confessioni di un Commissario di polizia al Procuratore della Repubblica”, con la garanzia data dal regista, Damiano Damiani, e dal protagonista, Franco Nero. Si potrebbe anche citare uno dei film di Enrico Maria Salerno, ad esempio “La polizia sta a guardare” con Lee J. Cobb già Don Mariano Arena nel giorno della civetta.
Intanto negli USA nel 1971 escono “Il braccio violento della legge” e “Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!”, Il primo con Gene Hackman, il secondo con Clint Eastwood, entrambi considerati tra i migliori polizieschi della storia del cinema. Si può citare invece “Milano trema: la polizia vuole giustizia”, del 1973 diretto da Sergio Martino. Milano trema è un film certamente nella parte alta della classifica dei 200. Secondo alcuni critici è tra i primi 10 poliziotteschi italiani di sempre.
Nel film vengono toccati tasti importanti, tra gli altri quello del tentato golpe Borghese nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970. I cinefili hanno storto il naso, ma film come Milano trema probabilmente hanno fatto conoscere a interi pezzi del Paese cosa stava accadendo. E poi le difficoltà economiche dei servitori dello Stato, con carabinieri che muoiono durante un servizio di scorta, servizio fatto per incrementare il magro stipendio. Ed ancora i doppiogiochisti nei ranghi dello Stato che confabulano nelle logge. E poi il problema delle contraddizioni urbane. Tutti temi importanti, trattati di striscio nel film, ma che in questo modo sono arrivati a tanti cittadini che magari in quegli anni non leggevano l’Espresso o Paese Sera.
Nel film sono certo da vedere e rivedere le tre scene di inseguimento. La prima tra le Giulie Alfa Romeo della polizia e una DS Citroen che si conclude presto. La seconda con le Giulie Alfa Romeo della polizia che inseguono una BMW 1800, la terza con una FIAT 124, guidata da Luc Merenda, che insegue una Ford Consul Corsair GT guidata da Silvano Tranquilli. Se il primo ed il secondo inseguimento contengono la Giulia come auto italiana corsaiola di riferimento che tiene bene anzi si comporta meglio della francese DS e della tedesca BMW, il terzo è più innovativo. Nel terzo fa la sua comparsa una 124 Fiat che ha costituito una ripartenza per la fiat nel settore delle berline medie.
I tre inseguimenti si fanno guardare anche oggi, tempo di realtà digitali e di droni che riescono a costruire immagini di inseguimenti impensabili. I tre inseguimenti del film sono artigianali a tutti gli effetti, e il
coinvolgimento dello spettatore deriva certo sia dalle inquadrature che dai montaggi, ma la base è data dalla realtà vera di grandi stuntman alla guida di magnifiche autovetture di tutti i giorni. Per questo film, e per tutti quelli usciti in quegli anni, compresi quelli prima ricordati, è possibile tracciare un adrenalinico ponte tibetano tra il filo conduttore del poliziottesco che separa l’autorità dal potere, e la tragedia greca.
La riflessione non può che andare a Sofocle. Il passaggio dalla presenza forte della religiosità eschilea alla drammatica assunzione di responsabilità dell’uomo in un mondo complesso e con direttrici ideali opache dove spesso pezzi di Stato si trasformano in mero potere ed il cittadino, o il commissario, devono assumersi la responsabilità di contrastare quel potere. L’Antigone di Sofocle è l’archetipo del conflitto tra
cittadino e stato, tra autorità morale e potere. In sintesi estrema è il tema centrale del processo di Norimberga. Antigone è stata vista come l’eroina contro gli stati totalitari, proto antifascista e ancor più donna del quinto secolo avanti cristo. E ad uno Stato che non guarda cosa accade in sue parti (tentato golpe), come queste si trasformino in potere (logge nascoste) si oppone il poliziotto, di nuovo contraddizione, anche a costo della sua vita.
Sofocle è l’autore di “Edipo re” una delle tragedie più rappresentate nel teatro greco di Locri che risale alla seconda metà del IV secolo a.c. con profondi rifacimenti di età romana. Il teatro di Locri, a forma di ferro di cavallo, aveva una capienza di circa 4500 spettatori. Incastonato in una splendida area archeologica, prospiciente una strada, il dromo, che affonda la sua origine nei secoli.
Rimane uno dei sogni nel cassetto quello di vedere un forte restauro, come quello fatto nel teatro di Sagunto in Spagna. Purtroppo la lettura italiana è quella museale, dove museale ha spesso un’accezione negativa e sta per vecchio, polveroso, ingessato.
Bisognerebbe avere invece una lettura multidisciplinare con un filone sociologico, un filone umanistico, un filone economico. Un teatro rivisto come quello di Sagunto potrebbe dare una spinta formidabile a tutta la Locride, basta vedere cosa accade a Siracusa ogni anno con le rappresentazioni classiche.
Trovare qualche ora per rivedere un poliziottesco può essere utile per farci ricostruire gli anni a ridosso del boom economico e fare correre le idee sul rapporto tra potere ed autorità, sulle contraddizioni urbane, sugli apparati deviati.
*prof UniRC