Anni fa c’era l’estate romana ricca di eventi capace di coinvolgere ed entusiasmare folle serali sulle rive del Tevere. L’assessore Nicolini, sindaci Argan e Petroselli quando sembrava facile e possibile amministrare una città impossibile come Roma, regalava emozioni e stimoli a piene mani, ai tempi di un’Italia speranzosa e piena di vita.
Cinquanta anni dopo, in un’altra Italia, un altro pianeta-sembrerebbe-, lungo altre coordinate ma con identici intenti e sguardi, a Cosenza il Premio Sila offre alla città, racchiusi nell’arco di tre giorni intensi e tesi eventi di profilo altissimo quanto accattivante.
Dapprima in tardo autunno, poi spostato a fine giugno, nelle sezioni narrativa, economia e società, riconoscimento alla carriera, il Premio Sila, che vanta una nascita illustre in tempi di alta tensione politica e culturale, rinato da più di dieci anni, appartiene al lotto dei premi letterari che hanno dignità nazionale, come attestano sia la stampa quanto la partecipazione di premiati e spettatori.
C’è chi si sofferma sulla irrefrenabile voglia di effimero e di disimpegno, altri parlano, a proposito della partecipazione e del coinvolgimento, di una città indolente e guardinga, altri ancora attribuiscono alla sostanziale distanza dei ceti professionali, universitari, pubblici e privati da eventi come questo, a un disincanto borghese tipico di una decadenza ormai inarrestabile. Perché uno dei tratti salienti puntuale quanto evidente da rimarcare è che accanto alla numerosa e visibile presenza di giovani la città sembra impermeabile, poco reattiva, altra, rispetto a personalità e temi di profilo e caratura oggettivamente indiscutibili.
Non c’è bisogno di soffermarsi sui nomi dei vincitori né delle opere premiate, illustrate e discusse: sui manifesti e nelle cronache campeggiano in bella evidenza, ma qualche considerazione su un’università che brilla per la sua assenza forse è il caso di farla; alcune annotazioni sui perché le stimolazioni alle riflessioni che libri e pensatori, poesie e saggi avanzano ma che le cosiddette classi dirigenti preferiscono ignorare, può aiutare a scrutare nel buio che ci avvolge. Non sembra sia un dato solo locale, riguardante il profondo sud di provincia, ma anche se così fosse non sarebbe sufficiente a fornire elementi di consolazione o conforto: accrescerebbe piuttosto i livelli di allarme. Ma tant’è: vuol dire che viaggiare in direzione ostinata e contraria si può declinare in più maniere, e fino a quando ci sarà chi si attarderà nell’insistere vuol dire che c’è ancora speranza.