LA CALABRIA, LO STATO E LA LEALTA’ (2)

LA CALABRIA, LO STATO E LA LEALTA’ (2)
*Su richiesta di alcuni nostri lettori riproponiamo l'articolo di Filippo Veltri, già apparso su ZoomSud, dopo quello di Marcello Furriolo che a quell'articolo ha fatto riferimento nello svolgimento delle sue vautazioni sull'attualità del lascito culturale di Corrado Alvaro a proposito dei calabresi e della calabresità (ndr)

Settanta anni fa, ottobre 1955, il più grande scrittore e vero intellettuale (se non unico nel panorama italiano) calabrese, Corrado Alvaro, scriveva (come ha ricordato Zoomsud nei giorni scorsi) nell’articolo di apertura del settimanale L’Espresso queste parole: ‘’… se non si capisce che il problema della società calabrese è un problema di lealtà, che è un’imprudenza lo zelo moralizzatore a due anni dalle elezioni politiche, che non è questione di controllare o intimorire determinate forze ma di creare un’atmosfera di collaborazione coi poteri centrali, l’”operazione Aspromonte” rischia di dare risultati opposti a quelli che si propone’’. Alvaro si riferiva alla famosa operazione Aspromonte delle forze dell’ordine contro la criminalità. Questa frase mi è tornata in mente alcune sere fa a Locri ad un dibattito in cui tanto si è parlato dell’immagine della Calabria e della sua narrazione, problema antico ed epico, che mai arriva non dico a soluzione ma ad un minimo accenno di componimento.

Se uno (è successo, è un fatto vero) va in Sicilia e dice ad un qualsiasi commerciante, ad esempio, che viene dalla
Calabria e quello gli dice ‘’Ah, Calabria, ‘ndrangheta!’’ è evidente, infatti, che c’è molto da lavorare. Badate bene, in
Sicilia non in Svezia! E allora ritorna d’attualità quella parolina usata da Alvaro: lealtà. Perchè occorre andare
oltre, ben oltre, in questa battaglia per una narrazione normale (rpt normale, non diversa ma semplicemente normale) della Calabria, su cui tanto si sta impegnando tra l’altro questo giornale, che della proposizione e riproposizione delle tante cose positive che ci sono, delle bellezze tra mari e montagne, degli sforzi pubblici e privati
per far prevalere il bello sul brutto, della capacità di cambiamento e innovazione in tanti settori,etc etc. Ci vuole appunto quello che nel 1955 Alvaro invocava: un patto di lealtà, mai firmato in realtà con chi detiene le leve di comando nella politica, nella cultura e nella società nazionali, patto tra l’altro già firmato ed operativo con altre regioni del sud d’Italia. Sui contenuti del patto di lealtà quelle forze migliori della Calabria devono impegnarsi, non gettare la spugna, non riesumare vecchi e passati vittimismi, brontolii sommessi e meno sommessi, piagnistei,
recriminazioni, lamentazioni.

Ma dall’altra parte deve esserci appunto la correttezza e la lealtà dei comportamenti: come si potrà mai pensare ad una nuova e vera narrazione normale della Calabria se la sanita’ viene lasciata nelle condizioni in cui e’ oggi? Se il sistema dei trasporti versa nello stato pietoso sotto gli occhi di tutti? E sono questi gli esempi piu’ vistosi. Per togliere l’acqua da quel racconto di cui Alvaro 70 anni fa prendeva apertamente le distanze c’e’ bisogno di una concretezza dell’agire politico ed istituzionale che muti lo stato materiale delle cose e poi dell’impegno altrettanto concreto e fattivo della comunita’ locale. Cioe’ dei calabresi tutti. Sei anni fa si tento’ di mettere assieme le forze migliori dell’intellettualita’ calabrese e italiana, operante in regione e fuori, partendo da un luogo simbolo di quella narrazione maledetta che era Africo vecchio, nel cuore della montagna altrettanto simbolo di quella stessa narrazione maledetta che era l’Aspromonte. Guarda caso quella stessa montagna dell’operazione di polizia di 70 anni fa. Fu un nobile tentativo che e’ poi proseguito negli anni a seguire.

Ecco: ci vorrebbero altri 10, 100 operazioni Africo per rivoltare quell’immagine così diffusa e permeata nel tessuto di tutto il Paese. Forse allora quella bottiglietta d’acqua venduta dal commerciante siciliano al povero turista calabrese non sarà seguita dall’ignominia dell’appellativo ‘ndrangheta, che ovviamente esiste, eccome se esiste, ma non può essere un alibi per nessuno, a partire dallo Stato centrale. E quello sarà un gran giorno.