di GIUSEPPE TRIPODI -
Barda-e, dall’arabo barda’a, in Calabria era il basto (dell’asino e del mulo nonché, molto più raramente, del cavallo) usato per i trasporti di cose e anche di persone. Bardàru era chi costruiva o vendeva le barde e, a Condofuri, costituiva soprannome.
Si coniugava anche il verbo mbardàri che, oltre a mettere il basto alla vettura, significa anche addomesticare (ndomitàri, rendere domestico) un puledro o una puledra facendoli stancare tanto fino a quando non avrebbero accettato la barda sulla schiena. Sbardàri era invece l’atto di togliere il basto.
Mettere il basto è espressione figurato. Ormai sì pirdùtu. To mugghièri ti mbardau! è detto con disprezzo a chi dimostra di non avere molta autonomia dalla propria sposa! Anche sceccu mbardàtu è un’espressione forte, indirizzata a chi dipende completamente dagli altri come un asino bardato, cioè addomesticato.
Pier Paolo Pasolini riporta una canzone di sdegno calabrese in cui l’innamorato così si rivolge alla donna che ha osato interrompere la relazione: “Non t’annazzàri chhiù, mula sturnèdda,/ ca fua lu primu chi tti ncavarcài, / e poi ti misi la barda e la sedda, / e centu spirunàti ti minai. (Non ti impennare no mula stornella, / che io sono stato il primo a cavalcarti,/ e poi ti ho messo il basto e la sella/ e cento punzonate ti ho inferto.); chiaramente mentiri la barda e cavarcari hanno un significato anche sessuale come si vede dai versi che seguono; Ora chi ll’eppi la to pignatèdda, / Dancìlla a cu la vo’: mi la scialài” (Ora che io ho avuto la tua pignatella,/ puoi darla a chi vuoi; io me la sono scialata!) ed ha ragione il commentatore illustre a dire che “c’è chiaramente più dell’esibizionismo che dell’innocente vanteria, e, più che dell’insolenza, un disprezzo morboso, di vigliaccheria, nei riguardi di chi è caduto, si è fatto <diverso> nel disonore” (Canzoniere italiano, Milano, Garzanti 1972, p. 97).
Anche le lingue iberiche, che sentono molto l’influenza lessicale araba, registrano diversi lemmi che derivano dalla parola araba barda’a: Albarda e i suoi derivati (albardar, albarderia, albardon, sellone usato dai vaccai, contadini andalusi nella domatura) si ritrovano in castigliano, catalano e portoghese che presenta anche il significato di oppressione e vessazione.
Anche le parole equivalenti in francese (harnais) e inglese (packsaddle) hanno questo significato rinviante al dominio e alla sottomissione; a questa deve collegarsi anche la parola italiana bardassa e la calabrese bardascia con cui viene indicato l’omosessuale passivo.
La barda ha dei finimenti che servono a stabilizzare il carico e che sono la postolèna, avvolgente la parte posteriore dell’animale ed essenziale nelle discese perché impedisce che il carico scivoli sul collo della bestia, il petturàli, indispensabile nelle salite, e il suttapànza, che evita la pendenza del carico da una parte o dall’altra.
La barda consta di un telaio fatto anteriormente e posteriormente da due archi di cerchio che si incastrano al vertice formando semicerchi (i circhi d’a barda) di angolo oscillante intorno ai 90°, tenuti assieme da un fondo di legno o di lamiera; i circhi presentano serie di fori simmetrici cui vengono inserite le corte per fissare il carico dette prisagghi; i buchi più bassi, da una parte e dall’altra, erano corredati da un arco di corda (strega) non molto grande che serviva a fermare i carichi più voluminosi.
Il carico poteva essere sostenuto da còfane dentro le quale poteva andarci di tutto, dalla frutta alla verdura alla carne alle bùmbule (orci per trasportare l’acqua) ed anche ai bambini piccoli; si trasportavano anche la legna, le olive, i mazzi di grano nonché quelli di fieno che venivano chiamati bardelli perché risultanti di manne mbardellàti cioè messe le une sulle altre.
Ai circhi erano uniti, a mezzo di tacce, dei soffietti di cuoio cui erano poi cuciti le due federe con un’asola al centro; attraverso essa la barda veniva riempita di paglia ben selezionata e resa uniforme onde evitare che spuntoni di qualche genere piagassero la schiena o il costato della bestia.
La paglia entrava nella parola latina con cui veniva indicata la barda che era stramentum (con significato primario di materiale da stendersi sopra, strame, paglia), come nella frase di Cesare stramenta de mulis detrahere (togliere il basto ai muli).
In caso di piaghe occorreva rimescolare la paglia o, come si diceva, maniàri a barda; l’espressione era anche metaforica e minacciosamente allusiva verso le persone irrispettose (mogli, bambini, nemici) la cui schiena (barda era metonimico per il posto dove era appoggiata) veniva in predicato di essere sottoposta a pressioni e a bastonate.