di MATTEO COSENZA* -
Caro Aldo, in tempi di magre letture sulla Calabria - neanche la 'ndrangheta buca lo schermo come una volta - ho letto con interesse e piacere l'intrigante racconto di Giusy Staropoli Calafati in ricordo di Saverio Strati.
Lei ha avuto il merito di sollevare, con delicatezza, un tema difficile che, confesso, io e l'indimenticabile Vincenzo Ziccarelli non volemmo affrontare quando Strati era in vita e noi ci occupammo e preoccupammo della sua scandalosa indigenza.
Sentivamo e sapevamo, anche perché ne parlavamo con Giancarlo Cauteruccio che da Scandicci teneva sovente per noi i contatti con lo scrittore, che la condizione di Strati e della sua diletta moglie Hildegard si riverberava anche sul figlio Gianpaolo che non abbiamo mai visto.
Non ci permettemmo di accennare mai a Strati, anche con domande banali, a suo figlio, anche perché lui, Strati, era persona schiva e complessa. Ora leggo di lui, e, come feci allora, non sfioro neanche la trama dei rapporti che lega un padre a un figlio e viceversa, mi limito soltanto a mandare, tramite il tuo giornale, un messaggio al figlio affinché apra, come non volle fare suo padre, una finestra sulla sua amata e odiata terra, la Calabria e, soprattutto, consenta a mani sagge ed esperte di prendere contatto con la sua immensa opera inedita, vale a dire quelle migliaia di pagine che Strati scriveva da anni e continuò a scrivere fino alla morte e che io e Ziccarelli vedemmo con emozione immaginando quale tesoro contenessero.
Il figlio deve comprendere che suo padre appartiene a lui nel ricordo e a tutti noi che lo abbiamo letto e speriamo di leggerlo ancora avidamente. E concludo che, al di là di tutto, Strati incarna, forse come pochi altri, l'anima della Calabria restando un grande scrittore senza aggettivazioni geografiche.
*scrittore, saggista, già direttore del Quotidiano della Calabria