Gli indagati acquisivano imprese in difficoltà o sull'orlo del fallimento, ma invece di farle 'ripartire', ordinavano mezzi ed attrezzature ai fornitori, che non venivano però pagati, cessando l’attività delle aziende e facendo sparire i materiali. Tutto quello che veniva acquistato in modo indebito, veniva poi spedito in Calabria per essere riciclato. Il sodalizio criminale avrebbe truffato almeno 150 imprese, per un valore stimato attorno ai 12 milioni di euro. Oltre alle aziende nordestine sarebbero state truffate anche banche e finanziarie; a raggiro si aggiunge il danno provocato con carte di credito per il prelievo fraudolento di carburante.
Le ipotesi di reato contestate dalla Procura antimafia di Venezia sono truffa, bancarotta fraudolenta, ricettazione, riciclaggio, ma anche violenza aggravata legata al modo mafioso utilizzato nel gestire i contatti.