L’ANALISI. La crisi del sistema politico e dei partiti che apre spazi al draghismo

L’ANALISI. La crisi del sistema politico e dei partiti che apre spazi al draghismo

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UNO. Che il sistema politico italiano sia attraversato da una crisi profonda che investe tutti gli schieramenti e tutti i partiti politici, è sotto gli occhi di chi non si rifiuta di chiuderli. Il fenomeno era già evidente e consolidato quando Mattarella, non potendo sciogliere le Camere per gli effetti del Covid, diede incarico a Mario Draghi di formare un governo. L’ex presidente della Bce venne accettato di buon grado, anche perché, in quel momento, garantiva a tutti i parlamentari la continuità della legislatura e quindi stipendi e pensioni connessi.  

Nessun politico e nessun partito, del resto, in quel momento aveva l’autorevolezza per chiedere altro o per rifiutare Draghi. La crisi del sistema politico era già ad uno stadio avanzato. Non a caso le forze politiche non erano più in grado di dar vita ad alcun governo dopo averne varati due con maggioranze drasticamente diverse, ma identico Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. La gran maggioranza del ceto politico, comunque, faceva affidamento sulla certezza che, al massimo, questo Draghi avrebbe fatto come Monti e quindi non avrebbe modificato il campo di gioco, né avrebbe cambiato o creato problemi ai giocatori fondamentali.

DUE. Quindici mesi dopo, da allora, il centrodestra, tradizionalmente inteso, offre lo spettacolo di una rissa continua al proprio interno. E’ spaccato verticalmente, prima di tutto, tra FdI e il resto della coalizione. La politica, cioè la linea politica, non c’entra nulla. Lo schema di gioco, in passato, era chiaro: dirige e comanda il centrodestra chi ha più voti. Tutto ok fin quando di voti ne raccoglieva più di tutti, e di un bel po’, Berlusconi. Ma non è più così. Nel centrodestra tutti erano convinti che dopo il Cavaliere avrebbe guidato Salvini e per un momento, giudicando dall’andamento di vari appuntamenti elettorali parziali, sembrò proprio così. Poi Salvini si bruciò e iniziarono a crescere, fino a svettare in cima, i consensi di FdI. Un guaio data l’antica radice di destra illiberale di quella formazione. Ora numerosi segnali raccontano che né Berlusconi né Salvini sono disponibili ad accettare la Meloni come leader della coalizione. Inoltre, ed è forse questa la più insidiosa fragilità del centrodestra, la Lega di Salvini, soprattutto Salvini, sono malguardati da Fi, con la sola eccezione del “cerchio magico” di Berlusconi che invece sembra avere scelto come erede, ora che il “cerchio magico” ha perso gran parte del proprio appeal e dei propri voti, proprio il Capo leghista. Ma il berlusconismo, pur continuando ad avere televisioni e giornali, non ha più la dimensione, l’influenza (e i voti) dei bei tempi quando era forza egemone nel Paese e nel centrodestra.

Lo scontro più duro sulla guerra, nel dibattito parlamentare dei giorni scorsi, s’è consumato, prima di tutto, tra Ignazio a Russa di FdI e il capo leghista Matteo Salvini. Ma non è difficile credere che molti dissensi, per ora inespressi, siano arrivati sull’intervento di Salvini dall’area di Fi per il suo taglio putiniano. Se si aggiungono le ultime dichiarazioni del Cavaliere che si allinea a Putin, saldandosi mani e piedi a Salvini, come a pagare una cambiale firmata da entrambi, sul lettone di Putin i in qualche buco del Cremlino, diventa probabile lo sfarinamento di Fi e la sua dispersione tra confluenza nella Lega e ricerca di altri rifugi per chi non ci sta.

Ugualmente in crisi e infragilito appare il “campo largo”, annunciato ma mai decollato, del centrosinistra di Enrico Letta. La frattura fondamentale in quest’area è tra quel che è rimasto del M5s (il più forte partito italiano alle ultime elezioni col 32,68: terzo risultato di un singolo partito della storia repubblicana dopo la Dc e il 34 del Pci alle europee dopo la morte di Berlinguer) e il campo progettato dal Pd. Il quadro è ulteriormente complicato dalle altre anime del centrosinistra: una laica, liberal e democratica (Renzi, Calenda, Bonino) contraria a qualsiasi rapporto e addirittura preoccupata da possibili contaminazioni coi 5s, e un’altra di segno opposto che non disdegna i voti (quelli che son rimasti) dei 5s. Qui si ritrovano gli ex scissionisti Pd guidati da Bersani e D’Alema e, un po’ più in là, altri pezzi di sinistra più radicale.

Il governo di Mario Draghi, il primo dentro il quale si sono trovate forze di orientamento politico non solo diverso ma decisamente opposto, che ha visto all’opposizione il solo partito di destra FdI, nei 15 mesi che abbiamo alle spalle, è riuscito a far crescere l’autorevolezza del nostro paese in Europa e nella considerazione di tutti i nostri alleati. Ma non è mai intervenuto, né avrebbe potuto farlo, sulla crisi del sistema politico italiano le cui contraddizioni e difficoltà sono ulteriormente cresciute. Specie dopo l’irruzione della guerra che costringe tutti a scelte radicali.

TRE. Gli effetti della guerra di Putin hanno aggravato ancor di più, se possibile, il vecchio quadro politico. Il M5s e la Lega, che pure si erano stabilizzati in due aree politiche opposte (dopo aver fatto parte dello stesso governo (il Conte 1) hanno assunto sulla guerra posizioni molto simili, comunque distanti da quelle assunte dai precedenti alleati. Conte e Salvini sono entrambi avvertiti come filoputinisti e, quindi, antieuropei. Mentre la stessa accusa di filoatlantismo accomuna la Meloni (FdI) e Letta (Pd). Berlusconi si è collocato accanto a Salvini e contro la Meloni. Mentre Conte si trova lontano da Letta che, nel giudizio sulla guerra di Putin, è più vicino alle posizioni della Meloni.

In questo quadro, faticano ad emergere proposte strategiche capaci di rilanciare il paese, il consenso e il prestigio delle forze politiche. Peggio: i partiti di centrodestra e di centrosinistra, al momento, sembrano ammaliati dalla possibilità di raccogliere piccoli riconoscimenti dalle elezioni del prossimo 12 giugno, quasi fosse possibile in quella tornata elettorale lucrare una vittoria tanto squillante da riannodare il legame tagliato tra partiti e consenso. Non si tiene conto che è evaporato il rapporto di fiducia, che era ampio e verificabile, tra partiti e opinione pubblica. Il vecchio meccanismo per cui la scelta politica era fondata su convinzioni diffuse, opzioni culturali, visioni del mondo, progettualità s’è rotto.

Nasce da qui, nonostante possibili frenate o indebolimenti provocati dalla guerra, un’area politica che guarda con molta attenzione e speranza a Draghi. E’ molto improbabile, che questa componente, che si potrebbe rivelare di significativa consistenza, coinvolga direttamente il capo del governo che, a quanto si capisce da quanto Draghi ha fin qui fatto, si terrà lontano da tutto questo.  Ma piaccia o no il risanamento della politica del nostro paese, che potrebbe intrecciarsi alla speranza di una nuova Europa, non potrà non guardare a queste energie.

*già pubblicato sul Dubbio