In Lombardia e in Lazio la vittoria del Destra-Centro è stata chiara e netta. Cioè, inequivoca. In Lazio è stata ancora più squillante che in Lombardia, perché la Regione che ospita la Capitale d’Italia era governata dal centrosinistra che ora ha dovuto cedere lo scettro del comando al DestraCentro. I guerrieri politici che hanno conquistato il successo sono cambiati in modo sostanziale. In passato avevano vinto leghisti e forzisti con un minuscolo (e quasi mai determinante) aiutino di FdI. La situazione dell’antico centrodestra s’è ora rovesciata grazie all’irruzione di FdI della Meloni. Insomma, il Destra-Centro ha vinto e può tirare un sospiro di sollievo (può farlo soprattutto la Meloni che da sola ha più voti di Berlusconi e Lega messi assieme).
Andrebbe tutto bene se non fosse che la vittoria cade in un contesto che deve preoccupare, e non poco l’intera politica italiana, maggioranza e opposizioni. Al voto s’è infatti presentata una netta minoranza di elettori: tra il 40 e il 40 e rotti per cento. Una minoranza dei cittadini aventi diritto. In un paese come l’Italia dove le divisioni e contrapposizioni politiche in tutta la fase repubblicana sono state radicali e durissime, l’alta affluenza al voto ha sempre avuto un valore straordinario perché ha fatto accettare sempre a tutti l’esito del voto al di là delle contrapposizioni violente.
E’ la prima volta che le urne vengono così massicciamente disertate in una competizione elettorale di prima grandezza come quella che decide chi deve governare una Regione italiana. E’ un segnale inquietante che dovrebbe preoccupare chi ha vinto e chi ha perduto.
Non era mai capitato nella storia della Repubblica italiana che in un’elezione di segno tanto rilevante per le vicende e il futuro del paese si registrasse un’affluenza alle urne tanto modesta, minoritaria e praticamente irrilevante, specie se paragonata al valore strategico della partita. Si è infatti votato non per decidere di uno sperduto consiglio comunale, ammesso e non concesso che questo potesse giustificare un’astensione tanto massiccia, ma per decidere il futuro dei due più importanti motori dell’Italia. La Lombardia è infatti il cuore economico del paese e il Lazio il suo cuore politico: insieme oltre 16 milioni di abitanti, oltre un quarto dell’intera popolazione dell’intero Belpaese. Ma nonostante il valore strategico della partita alle urne si sono presentati meno della metà degli elettori aventi diritto, quasi che il destino e la collocazione di quelle due regioni fosse trascurabile e, comunque, irrilevante.
E’ la prima volta che un’elezioni tanto significativa viene così massicciamente ignorata o non presa in considerazione da una parte tanto ampia della società italiana. Mai l’astensionismo tra un’elezione e l’altra dello stesso tipo aveva fatto registrare uno scarto tanto netto e incisivo passando da circa il 60 e il 70 e più per centro a poco più del 40.
E’ un fenomeno inedito che non ha traccia nei decenni repubblicani che abbiamo alle spalle. E’ diverso dalle astensioni registrate in passato, quasi sempre irrilevanti o decise dagli elettori per mandare messaggi all’intera comunità politica. Il voto, non è inutile ripeterlo, è pienamente legittimo. Ma c’è una parte grande e maggioritaria della popolazione lombarda e laziale che non si riconosce in quel voto e che ha deciso di rinunciare ad avere una propria rappresentanza. E’ un problema per la democrazia italiana per nulla irrilevante.
So benissimo che in queste ore si guardano e si soppesano altri elementi utili per accampare vittorie o registrare sconfitte (sonore) poco pensando a tutto il resto. Ma sarebbe un errore non tener conto del segnale drammatico che un’astinenza elettorale così massiccia e in qualche modo anche così uniforme riversa sull’intera politica italiana: su chi ha (in modo pienamente legittimo) vinto e su chi dovrà fare i conti con una sonora sconfitta.
Il segnale è drammatico perché è come se la maggioranza della popolazione del nostro paese si sentisse estranea a quel che accade avvertendo la propria emarginazione dalla vita politica e dai luoghi in cui si prendono le decisioni che contano.
Ecco perché anziché celebrare i riti della vittoria o le ragioni delle sconfitte non sarebbe male una riflessione sui motivi di questo grave indebolimento del nostro sistema politico.
*già pubblicato sul Dubbio del 14/2/23.