L'INTERVENTO. La riforma costituzionale della Meloni: più dubbi che consensi

L'INTERVENTO. La riforma costituzionale della Meloni: più dubbi che consensi
Più dubbi che consensi.

A giudicare dai giudizi che in queste ore si leggono sulla stampa e attraverso i media sul
disegno di legge di riforma costituzionale, approvato dal Consiglio dei Ministri e fortemente
voluto dalla Premier Meloni, che prevede l’elezione diretta del Capo del Governo, il
cosiddetto “ Premierato all’italiana”, o “ Neo Parlamentarismo temperato”, come l’ha
definito l’estensore del testo, il professor Francesco Saverio Marini, calabrese di stirpe,
figlio di Annibale Marini, Presidente emerito della Corte Costituzionale e nipote di
Giuseppe Marini eletto nel Primo Consiglio regionale della Calabria e battagliero
Segretario della Fiamma del MSI.

Non sono pochi e marginali i rilievi che si rincorrono da parte dei maggiori costituzionalisti
italiani e dagli addetti ai lavori. A partire dal fatto in se. Alcuni si interrogano sulla tempistica: era proprio questo il momento per aprire un grande dibattito su un tema, che non può che essere divisivo? Vengono evocate le “tifoserie”, già scese in campo a difesa dell’attuale sistema parlamentare avverso la riforma meloniana, che disegna una figura di Capo del Governo che risponde direttamente al popolo elettore e che decide vita e morte della sorte del Governo. In effetti questo è un tema su cui si sono esercitate velleità, aspettative, autentico spirito riformista da parte di tutti i governanti, politici e studiosi almeno negli ultimi cinquant’anni.

Con Commissioni Bicamerali, leggi approvate e bocciate dalla Consulta o dai Referendum. Con alterne fortune. Anzi senza fortuna e qualcuno si è bruciata una luminosa carriera, come Matteo Renzi che aveva legato proprio al successo della “sua” Riforma Costituzionale la permanenza stessa alla guida del Paese. Q

uesta volta ci prova con notevole determinazione la leader di FdI, prima donna alla guida del Governo, forte di un solido consenso popolare, ma che vive ogni giorno le pene della sua storia politica, le diffidenze delle elite internazionali, la complessità delle vicende familiari, la fragilità del suo apparato ministeriale e strutturale. Che mettono a repentaglio le sue pur indiscusse qualità personali e politiche. E non sono pochi quelli che pensano che, avere aperto un fronte così delicato della vita politica e istituzionale, con due guerre devastanti fuori porta, con una situazione economica internazionale e interna che rischia di mettere in ginocchio le famiglie e le aziende, con un contesto ambientale e climatico che ogni giorno mette a nudo il nostro friabile tessuto territoriale, mentre traballano in modo preoccupante e burlesco gli stessi apparati di sicurezza dello Stato, sia un tentativo di volgere lo sguardo
altrove, una sorta di distrazione di massa. Con la possibilità di legare inscindibilmente alla
sorte di questa Riforma, inseguita da decenni, il destino politico e personale del Premier
Giorgia Meloni. Allo stesso modo di Matteo Renzi, padre di una Riforma, che il tempo ha
dimostrato di avere molti aspetti positivi e innovativi, ma che il popolo italiano ha bocciato
con un voto non contro la Riforma, ma contro la politica e la personalità del Capo del
Governo, che la aveva fortemente voluta. 

Giorgia Meloni con questo disegno di legge ha aperto, non si sa quanto volutamente, un
fronte di guerra proprio con il grande tutore delle istituzioni democratiche italiane: Sergio
Mattarella, persona prima che Presidente della Repubblica. Vero che molti costituzionalisti
mettono in evidenza che la riforma Meloni di fatto esautora il Presidente della Repubblica
di due sue prerogative essenziali, la scelta del Presidente del Consiglio e la facoltà di
scioglimento delle Camere, che ritornano agli elettori e al Premier. Ma è evidente che
proprio queste due prerogative, esercitate con sempre maggiore pregnanza e discrezionalità da parte degli ultimi Presidenti della Repubblica, sono alla base del progressivo indebolimento del ruolo della politica e del Parlamento. Con un evidente protagonismo da parte del Presidente della Repubblica, che ha acquisito spazi inimmaginati da parte dei nostri Costituenti. Al punto che le preoccupazioni formali e sostanziali odierne sono legate direttamente alla figura e al carisma che ha saputo esprimere la personalità di Sergio Mattarella.

Ma le Riforme non si fanno ad immagine degli attuali protagonisti che si chiamano Mattarella e Meloni, ma devono avere una visione e una prospettiva di lungo periodo e di interesse generale. Non dimentichiamo che la nostra Repubblica, dalla sua fondazione ha annoverato Presidenti che non si chiamavano solo Einaudi, Pertini, Cossiga, Ciampi e, appunto, Mattarella, ma ha avuto anche figure meno garantiste e discusse.

E comunque ledemocrazie moderne si reggono su un equilibrio di poteri in cui ad unesecutivo forte devefare riscontro un Presidente della Repubblica di garanzia, non attore in partita.La perfetta definizione dei ruoli tra le guide delle comunità è un tema antico, che hapreoccupato perfino menti illuminate, sicuramente volte al bene come San Benedetto da
Norcia, che oltre quindici secoli fa, nella sua famosa Regola avvertiva il pericolo dei possibili dissidi e dei problemi che potevano insorgere tra i frati nella corretta e pacifica conduzione del Convento cenobita allorchè sia l’Abate che il Priore fossero nominatientrambi dalla stessa assemblea dei Vescovi o degli Abati.

Almeno da questo punto di vista la Riforma Meloni fa chiarezza e individua con precisione le fonti democratiche dell’autorità politica e istituzionale. Così come con chiarezza vengono create le condizioni per impedire la costituzione dei “Governi tecnici”, che così pesantemente hanno condizionato la vita economica e sociale del Paese negli ultimi anni e su cui si è esercitato da parte dei Presidenti della Repubblica una interferenza nella dialettica democratica del tutto anomala.

Ora si apre una lunga e complessa fase della nostra vita democratica in cui la politica dovrà ritrovare la capacità di riappropriarsi del suo ruolo riformatore, al di là dei leader del momento. Pensando che la nostra Costituzione sopravvive in buona salute da oltre
settanta anni, mentre le Riforme costituzionali di questi tempi sembrano costruite ad
immagine o per non dispiacere agli attuali occupanti dei Palazzi del Potere. Dal Quirinale
a Palazzo Chigi.