Quindi, sono state le condizioni arretrate del Sud a consentirci aiuti così rilevanti, ma in base ai dati della spesa finora realizzata (dati resi pubblici ieri dall’ufficio parlamentare bilancio- UPB) si prospetta un paradosso inaccettabile: che, cioè, si spenderanno meno risorse nella zona che ne ha più bisogno; si investirà di meno in quei territori che con le loro difficoltà di crescita hanno motivato così cospicui finanziamenti all’Italia.
Al 26 novembre scorso la spesa complessiva ha raggiunto appena 28,1 miliardi di euro pari al 14,7% degli stanziamenti a disposizione, di cui il 15,2% realizzata nel Centro Italia, il 14, 1% nel Nord e solo il 9, 4% nel
Sud. Il 2023 è stato l’anno in cui si è speso meno (solo 2,5 miliardi) rispetto ai 6,2 miliardi spesi nel 2021 e ai 18,1 del 2022. Tra tutti i ritardi accumulati quelli relativi agli investimenti in sanità sono ad oggi i più
preoccupanti, nonostante fossero considerati unanimemente tra le priorità del Piano per i limiti emersi durante il Covid nel sistema sanitario nazionale e nei 20 diversi sistemi sanitari regionali. I dati dell’UPB confermano indirettamente quanto era emerso dal rapporto della Svimez, l’Istituto di ricerca che ogni anno tiene sotto osservazione l’andamento dell’economia e della società meridionale in rapporto alle
strategie di crescita della nazione.
Cos’ha detto la Svimez, proprio alla presenza del ministro Fitto? Che l’economia del Sud può evitare la recessione nel 2024 e nel 2025 solo a condizione che si rispettino i tempi nell’applicazione del Pnrr e la quantità di risorse riservate alle aree meridionali. In poche parole, se il Pnrr dovesse fallire il Sud andrà incontro a una riduzione del Pil dello 0,6 nel 2024 e dello 0,7 nel 2025. Cioè, la crescita sarà sottozero! Invece se si rispetteranno tempi e percentuale di finanziamenti, il Sud crescerà dello 0,6 nel 2024 e dello 0,9 l’anno successivo. Dipenderà dall’attuazione piena del Pnrr la crescita o la recessione della già fragile economia del Mezzogiorno, più delle altre zone del paese. Senza risorse aggiuntive il Sud regredirà.
I problemi di attuazione del Pnrr sono indubbiamente generali ma, come abbiamo visto, più accentuati nel Sud e nei comuni al di sotto del Garigliano. Si potevano e si possono ancora limitare i pericoli di un
fallimento del Piano? Siamo ancora in tempo? La risposta è sì, ma bisognerebbe aggredire con un impegno straordinario alcune questioni essenziali.
La prima riguarda un sostegno ancora più massiccio alle amministrazioni locali. Alcune cose sono state fatte, ma è ancora poco per risollevare un apparato amministrativo meridionale che ha sommato assieme le batoste del lungo risanamento dei bilanci comunali, l’impossibilità della sostituzione di tutti coloro che sono andati in pensione, ha rinunciato a far circolare sangue nuovo nell’arterie ostruite della burocrazia locale, promuovendo quell’ampio rinnovamento negli uffici assolutamente necessario per affrontare compiti così gravosi e impellenti. La seconda riguarda le modalità di assegnazione delle risorse. Non c’è al riguardo metodo peggiore dei bandi. Una modalità richiesta dagli apparati dei ministeri ma assolutamente non utile per soddisfare bisogni essenziali nei servizi ai cittadini.
Se, ad esempio, si conoscono già i comuni meridionali che sono privi anche di un solo asilo nido, perché fare una gara? Si finanzino tutti gli aventi diritto e poi a bando si seleziona la ditta che deve costruirli. Punto. Se un comune assegnatario di un finanziamento (in base al criterio di assoluta necessità di quell’opera) non è in grado di realizzarla, scattano in quel caso i poteri sostitutivi. Un servizio, se
indispensabile, deve essere realizzato al di là delle capacità amministrative locali. Altrimenti si deve assistere impotenti al fatto che in Italia 1700 comuni che mancano di un asilo non hanno fatto la domanda per costruirlo! Chi invece fa la domanda e vince il bando? Il comune più efficiente o meno scalcagnato. Che effetti ciò provoca? Che si fanno asili dove già l’offerta pubblica è ampia e non si costruiscono laddove non ce n’è nemmeno uno. C’è una insopportabile illogicità in tutto questo.
Insomma, ci vuole più coraggio, più determinazione, meno supponenza e meno scaricabarile sui governi precedenti.
Non risiede, certo, nel Pnrr la soluzione della frattura più sottovalutata e finora meno affrontata della
storia italiana, quella tra Nord e Sud. Il Sud è oggi la vetrina delle disuguaglianze più macroscopiche del nostro paese. Se la nazione ha rinunciato da tempo ad affrontarle, potrebbe almeno limitarne le
conseguenze. Prima o poi bisognerà riaprire l’orizzonte della nostra nazione. Lo sguardo corto, quello che ci impedisce di guardare con serietà al terzo della nazione escluso, ci riporta a quell’egoismo territoriale e a quella cura del proprio “particulare” che sono stati i grandi limiti della nostra storia.