D’accordo, non è vietato per legge. E’ possibile candidarsi alle elezioni anche dichiarando al contempo che di quelle elezioni al candidato, che si candida e chiede il voto, non importa un fico secco. Si può chiedere il voto ai cittadini pur sapendo, anzi dichiarando solennemente, che il voto richiesto non serve per essere eletti e svolgere compiti pubblici che si ritengono connessi all’incarico per il quale i cittadini votano. Anzi, si può chiedere ai cittadini un voto per un obiettivo e un progetto che col voto che i cittadini sono chiamati ad esprimere non ha neanche un punto in comune. Una furbizia che equivale a uno sputo per gli elettori. Non gli elettori partecipi dell’imbroglio, consapevoli che il voto che il loro voto non serve a nulla se non alla realizzazione di disegni politici, si fa per dire, lontani e distanti con l’appuntamento elettorale. Insomma, è il coinvolgimento in una furbata i cui obiettivi sono lontani e distanti dal voto che i candidati chiedono e i cittadini esprimono.
Se non si ripone molta fiducia, anzi se non si ripone alcuna fiducia, né molta importanza, al rito del voto è una pensata ok.
Va però precisato che non tutte le culture sono identiche rispetto al voto. C’è chi vuole che il voto sia un diritto dei cittadini per scegliere tra i programmi politici (e le culture) che si confrontano nello scontro elettorale e per decidere quali donne e uomini dovranno governare e quali obiettivi dovranno essere privilegiati e realizzati. E c’è chi ritiene che il voto sia soltanto un rito per l’affermazione del proprio potere., o del potere della propria parte.
Un punto è innegabile: candidarsi in una elezione non per essere eletti diventando così “strumento” degli elettori per la realizzazione di progetti e obiettivi che gli elettori inseguono, ma soltanto per accumulare ed esibire il proprio potere raggranellato col voto è un imbroglio: la richiesta di voti non per realizzare un programma e un progetto a quel programma connesso, ma per accumulare potere personale in un quadro che non ha alcun punto di contatto col voto indetto, cioè strumentalizzando le elezioni (usandole come strumento per obiettivi altri che non hanno a che fare col voto) è da considerare un’offesa profonda alla democrazia.
La Meloni e la Schlein sembrano entrambe orientate a candidarsi alle prossime elezioni europee non per riuscire a farsi eleggere nel parlamento europeo e da lì realizzare istanze e bisogni dei propri elettori. Anzi, questa possibilità la escludono con nettezza. Vogliono, pare vogliano, soltanto utilizzare le elezioni europee, quindi il Parlamento europeo, per obiettivi che nulla hanno a che fare con quelle elezioni e quel Parlamento. Più semplicemente: vogliono strumentalizzare il voto europeo per obiettivi che nulla hanno a che fare con l’Europa. Una furbizia per far crescere il proprio potere in Italia e nella politica del nostro paese.
Possibile che le due signore non capiscano, come non lo hanno capito in passato moltissimi loro colleghi maschi, che l’utilizzo di un voto per obiettivi che con quel voto non c’entrano nulla fa crescere nell’elettorato il convincimento che ormai il voto sia soltanto un rito stanco che serve per appropriarsi di spazi di potere che non hanno rapporto alcuno né col voto né con la democrazia e tantomeno con l’affermazione dei propri convincimenti ed ideali.
Certo, la presidente Meloni non nasconde di volersi candidare come capolista in tutti e cinque i collegi elettorali per le europee per un’incoronazione e un plebiscito che rafforzi lei e il suo partito restringendo cosi drasticamente spazi e potere dei suoi alleati. Basta dare uno sguardo anche distratto a Salvini e Tajani per capirlo. Nessuno sospetta che la Meloni voglia fare il parlamentare europeo né, bisogna riconoscerlo, ha mai dato segnali in questa direzione. La Meloni vuole essere eletta parlamentare europeo in cinque collegi elettorali ma giudicherebbe offensiva la richiesta di fare la parlamentare europea. Aggiungiamo che la Meloni non sembra eccessivamente preoccuparsi per l’indebolimento complessivo del voto europeo, com’è inevitabile se quel voto serve soprattutto per un regolamento di conti coi propri alleati, essendo elemento estraneo a contenuti e progetti del voto europeo.
Il caso della Schlein è, invece, decisamente più grave. La segretaria del Pd ha lanciato, e continua a lanciare, segnali per una sua candidatura in tutti e 5 i collegi elettorali italiani per le elezioni europee. Ovviamente la Schlein non ha alcuna intenzione di dimettersi dal parlamento italiano. L’obiettivo che la segretaria Pd persegue non ha alcun punto di contatto con l’Europa. E qui c’è un aggravamento perché il Pd, diversamente da FdI, ha accumulato una tradizione europeista. La Schlein, invece, vuol dare il segnale di uno scontro politico frontale con la Meloni ricercato per legittimare la propria leadership sul Pd. Un quadro che confessa un disinteresse inquietante per l’Unione Europea e il suo futuro (che per la verità sembra unificare i progetti delle due signore della politica italiana). Ma che legittimità ha un partito che usa il voto non per dare ai cittadini il potere di scegliersi i propri rappresentanti promuovendo una strategia politica e culturale ma solo per raggiungere obiettivi che con quel voto non hanno rapporto alcuno?
*già pubblicato sul Dubbio