CALABRIA. Serve realismo, chiediamo l’impossibile. VARANO

CALABRIA. Serve realismo, chiediamo l’impossibile. VARANO

ns     di ALDO VARANO

- UNO. E’ un vero peccato che l’analisi di Demoskopica sugli orientamenti e i convincimenti dei calabresi, resa nota sabato dell’istituto, non abbia conquistato le prime pagine domenicali della nostra stampa. Eppure quei dati fanno tremare i polsi e impongono una terapia d’urto prima che il sipario sulla possibilità di cambiare in Calabria si chiuda per un lungo periodo storico.

Riassumo. I calabresi che non hanno fiducia nei partiti sono il 94,7 per cento. Non si fidano della Regione il 92,6; del Parlamento l’89,2; della Provincia l’88,9; del Comune l’83,4. Vince su tutti il Governo, ma in una gara degradata verso giù: una sfiducia “soltanto” dell’82,7. Non si salvano i sindacati che raccolgono la fiducia di un misero 15,9: meno del Governo di Roma e dei Comuni. Sul versante opposto della fiducia vincono questurini e carabinieri che svettano al 68,5, il volontariato (63,1), la Chiesa (57,8) e, dopo di loro, la magistratura col 52,7. Non sorprende, quindi, che solo il 5,9 partecipi alla politica. Vorrebbe farlo anche un altro 4,8 ma ritiene i partiti diffidenti e ostili alla partecipazione e resta a casa. Insomma, 9 su 10 di politica in Calabria non ne vogliono sapere.

Sono spaventati e preoccupati i calabresi. 7 su 10 hanno paura del futuro. Il 64,7 immagina di non riuscire più a mantenere la famiglia. Il 57,8 ha il terrore di perdere il lavoro. Insicurezze che hanno già creato la sindrome del peggioramento se, in una regione con alta aspettativa di vita, il 43,9 ha paura di ammalarsi e il 31,3 di restar vittima di un evento criminale.

DUE. Quindi i calabresi: a) non hanno alcuna fiducia nella politica, che pure è l’unico strumento che ha (avrebbe) il potere di cambiare la loro condizione; e b) hanno smarrito la nozione del futuro che per loro non è più il vantaggio dentro il quale si può costruire il miglioramento, ma un tempo ostile e nemico nel quale la loro vita peggiorerà

Di inquietante c’è che la gravità della crisi, in Calabria certamente più intensa che altrove, tende a consolidarsi nel convincimento che non ci sia più niente da fare. La sfiducia diventa rassegnazione e si trasforma nel convincimento che le uniche scelte possibili sono: o la fuga (che è già in corso, specie tra le nuove generazioni), o l’affidarsi alle forze dell’arretratezza, del malaffare e della corruzione; i carnefici che c’hanno portato fin qui.

TRE. La situazione è quella che è: fame di lavoro che non c’è, precarietà, crescita della povertà, strutture e servizi fatiscenti o inadeguati, spazzatura (e buche) per le strade (che sono poche e ci fanno inaccessibili). Gli stessi bisogni che hanno intesta i calabresi, dice Demoskopika. I macigni che soffocano la Calabria sono troppo pesanti per ignorarli. Situazione socio-economica e condizione psicologica stanno convergendo verso una sinergia negativa che può stroncarci: questa è la Calabria che ci viene consegnata da Scopelliti e Talarico (ma c’hanno messo mano anche quelli di prima, maggioranze e opposizioni; e non soltanto la politica in senso stretto).

Ma è falso che in Calabria sia impossibile lavorare al futuro (anche prossimo) e al cambiamento. Certo, per intellettuali, giornalisti, e pezzi di classi dirigenti la denuncia è più facile, consente enfasi, cattura di piccole simpatie. Invece, alla avanguardie e alla politica (prima di tutto) spetta, mai come ora il compito di combattere la rassegnazione e i suoi veleni. Non per giocare al professor Pangloss. La Calabria può cambiare perché già altre volte è riuscita a farlo. Inoltre, la crisi, da noi peggiore, è generale e cresce il convincimento che o si riparte dal Mezzogiorno o il paese (tutto) va a rotoli. La politica e la cultura non si accontentino di qualcosina in più. In Calabria non è possibile fare un po’ meglio: o si cambia radicalmente o ci si rassegna alla desertificazione (già iniziata). E’ un sommovimento profondo quello che ci serve. Ne tengano conto la politica, le istituzioni, la cultura, la Chiesa.