La Calabria nel burrone e la politica che non c'è

La Calabria nel burrone e la politica che non c'è

prcpz     di ALDO VARANO -

UNO. Nei giorni scorsi l’onorevole Demetrio Battaglia in un articolo ha lanciato l’allarme sul rischio che la Calabria non intercetti (la possibile) ripresa economica che s’annuncia in Italia. Nelle stesse ore, il presidente Renzi, che possiede più informazioni di Battaglia, c’ha gelati da Napoli: la ripresa c’è, ma non sfiora il Mezzogiorno. E se non sta sfiorando il Mezzogiorno, va aggiunto, figuriamoci la Calabria. Sarebbe stata necessaria l’immediata mobilitazione degli stati generali di Sud e Calabria: Governatori, sindaci, sindacati, forze sociali, Chiesa, università per decidere come bloccare la nostra rovinosa caduta nel burrone. Ma non è accaduto niente.

DUE. C’è la consapevolezza di cosa vuol dire non agganciare la ripresa? Significa drastica compressione delle condizioni di vita che, in Calabria, sono già, a voler esagerare, medio-basse, di qualità inferiore non solo a quelle medie nazionali ma anche a quelle del Sud. Impietosi e illuminanti i dati export di queste ore: le regioni italiane tutte su (certo, talvolta timidamente) solo la Calabria in lugubre arretramento strutturale, essendo quelli di Sicilia e Sardegna arretramenti dovuti alla crisi petrolifera e quindi contingenti.

Ma questo terreno è ancora arretrato: confronta Calabria e resto del paese con la vecchia solfa del divario che non si colma. Invece, dobbiamo prendere atto che la Calabria sta scendendo sotto il limite della sopravvivenza che bene o male abbiamo conosciuto negli ultimi sessant’anni. Una cosa è non stare come gli altri; altra è stare sotto la soglia minima indispensabile.

TRE. Più chiaramente: se non si lavora a imprimere rapidamente una svolta, resterà (a chi resta) il solo conteggio del progressivo precipitare di interi blocchi sociali da una condizione limite alla fascia della povertà e dell’indigenza. Sanità, rifiuti, mare pulito e tutto il resto perdono significato se contemporaneamente non si dà risposta alla domanda ineludibile: come faranno a vivere e di cosa vivranno il grosso delle famiglie calabresi?

La giunta regionale che non c’è, in attesa di farne una catartica che stupirà l’Italia; i comuni calabresi (a partire dalle grandi città) che possono solo elencare i servizi che non riescono più a garantire; le nostre università che si svuotano e/o programmano disoccupazione e/o emigrazione; le organizzazioni sociali che difendono sempre più debolmente quel che c’era e non bastava; gli altri pezzi dello Stato la cui impotenza è sotto gli occhi di tutti; o prendono atto che c’è una nuova situazione che stravolge anche il loro ruolo e la loro funzione tradizionali o sono destinati a diventare oggetto di crescente odio e rancore sociale.

QUATTRO. Il punto su cui sbattere la testa torna ad essere quello da sempre rinviato con furbizia per la convinzione che ci bastasse il commercio dei voti raccolti in Calabria e venduti a Roma, attività d’intermediazione parassitaria in cui si è specializzato un ceto politico oggi impotente rispetto ai problemi reali, e il punto è: come e cosa può fare la Calabria per creare in modo crescente le risorse che servono a garantire ai calabresi una vita adeguata ai bisogni del nostro presente storico?

Lo scontro per l’accaparramento di risorse in Italia sarà sempre più duro. Vincerà non chi batterà di più pugni sui tavoli romani forte di amicizie e protezioni (ormai presunte e sempre in bilico; sanità docet), ma chi avrà proposte reali e credibilità sufficiente per produrre e creare, con le risorse che chiede, altre risorse.

CINQUE. Ciò significa che i sindaci calabresi devono fornire sì i servizi secondo il loro compito ma devono, insieme, promuovere occasioni di sviluppo con determinazione e lungimiranza. Se le nostre regioni e le nostre città non diventano l’articolazione democratica di un grande progetto di rinnovamento (a partire dal parassitismo interno) e di sviluppo nessuno avrà futuro. Bisogna lavorare a vantaggi immateriali e aggregare forze sociali e produttive capaci di utilizzarle. Non tocca a loro? E’ vero. Ma se non lo faranno non lo farà nessuno. E soprattutto tocca al Governatore della Calabria e all’insieme delle energie che è in suo potere muovere e organizzare. Non servono gli stravaganti bracci di ferro, destinati necessariamente alla sconfitta, sulla sanità calabrese. Serve una spinta (con gli altri governatori) non solo per avere più risorse ma per scegliere risorse funzionali alla produzione della ricchezza nel Sud utilizzandone tutte le potenzialità: Mediterraneo, territorio, storia. Insomma, servono la Politica (maiuscola) e una strategia politica che non si vedono.

L’altra strada è il degrado. La riduzione drastica dei consumi attuali. L’invito onesto ai calabresi perché studino le lingue e se ne vadano all’estero, come già fanno i figli dei ricchi e dei ceti privilegiati.

Terzium non datur.