"Cos'è che ci distingue dagli animali?"
Le facoltà mentali, psichiche, sociali degli esseri viventi, oltre che sulla biologia, si fondano su tre requisiti: l'intelligenza, l'apprendimento, e la capacità di condividere e trasmettere conoscenze ed esperienze. Il grado di complessità e duttilità di funzioni e strutture degli organismi varia secondo la specie.
Desmond Morris, nel suo La scimmia nuda, ci rivela come una fondamentale differenza tra Homo Sapiens e le altre specie animali sia la capacità di apprendimento di durata indefinita da parte del cervello umano, a causa del fenomeno della neotenìa, la persistenza di caratteri neonatali fino all'età adulta. Una pantera, un lupo, un orso, un serpente sono capaci di autonomia e indipendenza quasi subito; il cucciolo d'uomo no: deve dipendere dall'accudimento genitoriale molto più a lungo. In compenso può continuare a imparare per tutta la vita dall'insegnamento dei suoi conspecifici e dall'esperienza.
Howard Gardner, in Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, dimostra come l'intelligenza complessiva di un individuo non è data semplicemente dal Q.I., ma si fonda sulla coesistenza di almeno sei tipi diversi di intelligenza: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo cinestetica, e infine l'intelligenza “personale” che, avendo a che fare col “sé”, dovrebbe essere responsabile delle varie forme di coscienza e autocoscienza, nonché delle abilità sociali, come dimostrano i più recenti studi sui “neuroni specchio”. Einstein era un genio della fisica e anche un più che discreto violinista, ma aveva scarse attitudini per la vita sociale. Ci sono innumerevoli esempi del genere lungo tutta la storia dello scibile. E anche noi comuni mortali non facciamo eccezione. Io, per dire, sono un correttore di bozze quasi perfetto, ma non so tenere in mano un pastello o un pennello e mi perdo nel centro di Bologna peggio di uno di Berlino.
In vari luoghi delle sue opere, Silvio Ceccato definisce l'intelligenza come la “capacità di porre rapporti”. Non avremmo mai riprodotto il fuoco o inventato la ruota o la stampa a caratteri mobili, altrimenti. In generale, possiamo considerarla una definizione soddisfacente, poiché dà conto della natura delle differenze con cui si manifesta questa facoltà nell'uomo e negli altri animali, oltre che nei singoli individui della stessa specie. Ricordiamo l'esempio di una popolazione di macachi di un'isola del Giappone che scoprì e riprodusse l'uso di insaporire le patate lavandole nell'acqua di mare.
Se riesco a individuare una relazione, prima ignorata, tra due o più fatti, concetti od oggetti, mettendo in gioco quelle forme della mia intelligenza, e riesco a comunicarla e insegnarla ai miei simili, trasmettendola, su un territorio il più esteso possibile, anche alle successive generazioni, allora non solo mi dimostro intelligente, ma contribuisco ad andare oltre, ad ampliare l'orizzonte della mia cultura, facendola condividere alla mia specie.
Cultura che dunque cresce e si evolve con ritmi e tempi spesso molto più rapidi di quelli biologici, eccedendo la semplice ragione del bisogno. Soprattutto la cultura dell'animale uomo, che è in grado di superare i suoi fondamenti naturali, producendo nuove strutture – che si trasmettono coi memi, più che coi geni – e che di solito vengono a sostituire lo statu quo socio-biologico spesso entrando con esso in conflitto. Si pensi al linguaggio, al sesso, alla gastronomia, all'architettura, alla politica, solo per fare pochi esempi eclatanti.
Qualcuno pensa che tutto ciò possa condurci in breve al disastro e all'estinzione. Ma noi siamo ottimisti e riteniamo che l'estinzione sia molto più lontana del previsto.
Per fortuna o purtroppo?