SAPIENS. Trump via dai social: le polemiche e i pareri degli esperti

SAPIENS. Trump via dai social: le polemiche e i pareri degli esperti

america

Il deplatforming di Trump (la sua cacciata dalle piattaforme social, in termini più crudi) ha scatenato un acceso confronto tra i fautori della libertà d’espressione a qualsiasi costo con riferimento, per gli Usa, al famoso primo emendamento e alla altrettanto famosa sezione 230, e coloro i quali ritengono che ci sia un confine che nessuno, neanche il presidente degli USA, può oltrepassare. A quest’ultimo proposito, un minimo di chiarezza viene da due esperti costituzionalisti americani, Lata Nott e Roy Gutterman. Stando al primo emendamento “Il Congresso non potrà emanare leggi per il riconoscimento di una religione o per proibirne il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto dei cittadini di riunirsi in forma pacifica e d’inviare petizioni al governo per la riparazione dei torti subiti”. Nott e Gutterman fanno alcuni esempi, tra i quali i seguenti.

Se sei bannato da una piattaforma di social media, non è una questione che riguarda il primo emendamento. Esso ti protegge dal governo che punisce, censura o opprime il tuo discorso. Non si applica alle organizzazioni private, come Twitter e Facebook; tuttavia, è anche vero che sebbene non sia incostituzionale, se le piattaforme private vietano apertamente alcuni tipi di discorso protetto, si crea un precedente per la libertà di parola.

Se il tuo post o commento è cancellato su un forum on line, trattandosi di una società privata, non è un problema da primo emendamento. Ma le società private, come i siti di social media, possono perciò fare quello che vogliono, in quanto gli utenti accettano i termini di servizio di un sito quando si iscrivono? Secondo Gutterman, se bloccare i contenuti, anche quelli offensivi o violenti, rientri nello spirito della libertà di parola è un altro problema.

Tali siti mantengono il diritto di rimuovere i contenuti, e sono anche protetti dal Communications Decency Act, sezione 230, che solleva da responsabilità le società di internet per i contenuti, post o commenti scritti dagli utenti. Questo copre pubblicazioni contenenti  oscenità, violenza e minacce. Tuttavia, questa protezione spesso si scontra con l'applicazione degli standard comunitari di base.

"Facebook è sotto un'enorme pressione per rimuovere non solo i contenuti violenti e illegali, ma anche le fake news", dice Nott. "E più diventa editore (come quelli dei “media tradizionali”), più è probabile che perda la protezione della Sezione 230".

Alla fine, secondo i due esperti, non sono coperti dal primo emendamento discorsi che contengono: oscenità; parole di combattimento; diffamazione; pornografia infantile; spergiuro; ricatto; istigazione ad azioni illegali imminenti (come ha fatto Trump il giorno dell’assalto a Capitol Hill, n.d.r.); vere minacce.

Veniamo al nostro paese, dove sul tema è intervenuto il presidente emerito della corte costituzionale, Cesare Mirabelli, secondo il quale “la decisione di Twitter (di disattivare l’account di Trump) ha avuto rilevanza politica, ed è evidente il rischio che poteri privati gestiscano queste situazioni”. E prosegue: “Ormai i social hanno assunto, per diffusione e incisività, rilievo pubblico. Hanno una posizione dominante anche come tipo di servizi che fanno e affidano la loro produttività economica a questo”.

La situazione andrebbe valutata da un organismo indipendente, un’Autority, che non sia caratterizzato da controllo governativo o politico. Nel caso di Trump, una società tecnologica privata, che non risponde a nessun altro che agli azionisti, che agisce secondo politiche e principi auto-definiti, ha preso la decisione di oscurare il presidente USA da un mezzo di comunicazione che ha rilevanza politica.

Come già sappiamo, l’UE sta intervenendo sul tema complessivo, ed è stato avviato l’iter per l’approvazione  del Digital Services Act (Dsa) e del Digital Markets Act (Dma).

Vincenzo Tiani, professore di diritto all’Università di Comunicazione e lingue di Roma, ed esperto di politiche digitali e di tutela della privacy, sostiene che la moderazione dei contenuti verrà migliorata con l’avvento del DSA : «Nel 2000 non c’erano piattaforme da miliardi di utenti, con miliardi di ore di contenuti video. Oggi c’è un chiaro problema di gestione: con chi si devono relazionare le autorità in merito a quelli da rimuovere? Per velocizzare queste procedure, verrà richiesto alle piattaforme di istituire un Single point of contact. Parallelamente, ogni paese Ue istituirà un Digital services coordinator che lavorerà assieme alla Commissione per verificare il rispetto dei regolamenti». Ma, a questo punto, Tiani fa un’affermazione a mio avviso preoccupante, giacché la irresponsabilità sui contenuti è uno dei principi che ha consentito alle big tech di alzare le mani per ogni genere di abuso. Dice il professore: i principi fondamentali del web sono intoccati: le piattaforme non saranno responsabili dei contenuti. Che cosa fare delle fake news, ad esempio, resterà una prerogativa delle piattaforme attraverso i termini di servizio. Al contrario, le violazioni della proprietà intellettuale e dell’incitamento all’odio, per fare un esempio, dovranno essere rimosse tempestivamente».

Altro punto critico è quello legato agli algoritmi per filtrare i contenuti prima della pubblicazione, che secondo l’eurodeputato Benifei non saranno permessi: «Ci siamo impegnati per eliminare qualsiasi riferimento al filtraggio preventivo». La strategia resta il notice and take down (segnala e rimuovi), anche perché sarebbero un costo non indifferente per le aziende più piccole. Ma questo significa impiegare più moderatori, che spesso non sono dipendenti delle piattaforme, bensì contractor che adottano pratiche ai limiti della legalità”. Il problema, a mio avviso, non è tanto o solo quello dei diritti dei moderatori, ma i tempi dell’intervento cassatorio. Se non si tiene conto che la differenza col passato (c’è chi asserisce, ad esempio, che le fake news, sotto altro nome, sono sempre esistite) sta proprio nello strumento utilizzato, che consente, grazie a like, condivisioni, account fake, bot, troll, di diffondere odio e disinformazione alla velocità della luce, si rischia di mettere in campo un rimedio inefficace. La tecnologia, come tutto a questo mondo, è buona o cattiva a secondo dell’utilizzo che se ne fa.  In questo campo, essa va sfruttata per combattere chi ne fa un uso cattivo. Altrimenti si va a combattere a mani nude un esercito armato di tutto punto.